Supplementi

ricordi – Alberto Chicayban 2

LE PIOGGE DI MARZO

C’era una coltre di nuvole basse sopra Niterói e il caldo esagerato indicava l’arrivo delle piogge di marzo. Sono uscito senza voglia di uscire verso le pietre finte del collegio e sapevo di essere in compagnia dei soliti ritardatari. Mio padre ritardava spesso il pagamento della retta scolastica, io arrivavo in ritardo e anche le rondini sembravano ritardare. Quel giorno non ascoltavo i cerchi di ali, piume e grida. Ero un bambino di sguardo silenzioso e triste in un paese di colori che gridavano. Sono passato accanto alle vecchie porte di una casa dell’Ottocento quasi in rovine accanto al gommista che collezionava calendari degli anni passati nei quali le donne erano più vestite e meno colorate. Sull’entrata dell’officina c’era una gabbietta con un trinca-ferro, ho fischiato come sempre per ascoltare la risposta dell’uccellino. Girato l’angolo potevo vedere la sagoma di pietre finte e le mura abbellite da piante spinose scelte da mani crudeli. Ma c’era qualcosa di insolito nei dintorni. Una moltitudine riunita dall’altra parte della strada bisbigliava e gesticolava puntando le pietre finte. Però! Le macchine nere della polizia arrivavano con le sirene ululando e c’erano anche le macchine dell’esercito. Bello! Altri bambini facevano marcia indietro e tornavano a casa. Cosa c’è? I comunisti hanno messo una bomba nell’Collegio ed i frati ci hanno mandato via. Bombe? Come in guerra? Non lo so. La scuola chiusa, che fortuna! Mi sono avvicinato e trovato un posto a sedere sopra un muretto. Alcune madri parlavano a voce bassa accanto a loro c’era l’insegnante di Matematica, Fra Albano. Chicayban, sporco ebreo, alla lavagna! Voi ebrei siete gli assassini di Gesù, siete sporchi e falsi! Fra Albano faceva la contabilità dei nomi stranieri e decideva chi era ebreo e non faceva la doccia. È vero, ero un peccatore. Avevo ucciso delle tortorelle con la fionda. C’erano troppe negli alberi di casa e per forza sono finite in padella cucinate da Zia Adelia. In croce sarebbe impossibile cucinarli. Ho aspettato e aspettato per ascoltare lo scoppio. Niente, i comunisti non hanno acceso la bomba e due ore dopo i militari sono usciti della scuola con una enorme cassa da morto. Hanno detto che dentro c’era la bomba morta. I frati si sono complimentati con gli ufficiali. Siete degli eroi! Siamo salvi! Chissà dove finirà questo povero Brasile! Ho trovato strano che Amedeo, il frate superiore, gridasse gli elogi per fargli ascoltare a noi che eravamo sul marciapiedi dell’altra parte della strada. Eravamo salvi, ma volevo ascoltare lo scoppio, cavolo! Dovevo raccontare qualcosa di spaventoso alle mie sorelle. Sette anni sono passati veloci come i taxi abusivi ed il paesaggio del viso è cambiato nel finestrino degli occhi. Il mio sguardo allora diventò furioso perché l’inganno dilagava ed il trinca-ferro da parecchio era scomparso insieme alle case di una volta. Mio zio Walter mi aveva regalato una chitarra che nelle sue mani non suonava e  avevo scoperto anche l’altra poesia che la scuola voleva occultarci. Ho trovato Julio alla libreria di Anibal e lui mi ha raccontato la saga del Pinguino accaduta fra le mura di finta pietra. Era sublime raccontando storie. Il conosciuto deputato Galindo, uomo di fiducia dei generali, era venuto a fare visita al collegio e dimostrare i pericoli delle ideologie esotiche. Nell’auditorium avevano riunito tutti dopo la messa del mercoledì, obbligati ad ascoltare le urla del deputato eletto da fucili e da leggi d’eccezione. Ma nel bel mezzo dell’accesa retorica, la dentiera di Galindo è volata e caduta fra le poltrone della prima fila ed il palcoscenico. L’inutile parlamentare lesto, con un balzo, l’ha raccolta ed infilata nella bocca deserta per proseguire a sbraitare contro il comunismo sovversivo e ateo. Le risate non sono mancate. Amedeo alzato dal tavolo delle autorità ha offeso gli allievi con parole pesanti. Pinguino senza paura ha gridato: – Amedeo, sei un fascista! Fascista! Fra Albano e Fra Calisto hanno trascinato il Pinguino fuori dall’auditorium. L’eco della parola fascista ha perdurato all’interno delle mura di pietra fasulla anche dopo l’espulsione del Pinguino. A quei tempi Julio scriveva delle piccole poesie insieme a disegni dissacranti ed acuti. Sistemò la dentiera volante del turpe Galindo tratteggiata da caccia-bombardiere che mitragliava il pubblico inerme. La legge d’eccezione fa volare / Anche la dentiera parlamentare. Quasi un haiku. Matsuo Basho l’avrebbe approvata con il mezzo sorriso del Buddha. Quarant’anni sono passati veloci come un caccia-bombardiere ed il paesaggio della vita è cambiato nell’assenza dei capelli e nella presenza delle rughe. Fuori pioveva, ho guardato la bara di Julio ma non riuscivo a vederlo lì. Dopo che avevo suonato le musiche delle nostre bussole che puntano il Sud, il fantasma di Pinguino si è avvicinato. Mi ha urlato nell’orecchio: – La morte è fascista! Le ultime note de La Marseillaise sono uscite imprecise e senza la pulizia delle lacrime. A quel punto Julio già volava molto alto insieme allo spirito del trinca-ferro e delle rondini.

L'autore

Alberto Chicayban Chicayban