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Ricordi – Francesca Caminoli

[A julio]

Grazie Julio. Se non fosse stato per te credo che non sarei mai diventata, a cinquant’anni passati, una scrittrice. Ora, con cinque libri pubblicati, forse posso dire di esserlo. Tu mi hai fatto capire che, scherzo ma non troppo, di tutti i miei sogni di ragazza – campionessa olimpionica di sci, medico in Africa, soubrette pure – l’unico che poteva essere ancora praticabile era scrivere, che nessun dio di nessun Olimpo o simili avrebbe potuto compiere il miracolo di farmi vincere a quell’età uno slalom speciale, diventare una dottoressa Schweitzer o un’italica Liza Minelli. Che stava a me uscire dalla mia svagata indisciplina o anche indisciplinata svagatezza, mettermi davanti a un computer e battere sui tasti. Di questo non potrò che esserti grata e riconoscente per sempre.

Con il tuo sorriso e con la tua determinazione hai saputo smantellare i molti alibi dietro cui mi trinceravo: i figli, il lavoro, la casa e la famiglia da portare avanti. Balle, scuse, in realtà solo la paura di confrontarmi con qualcosa con cui non volevo confrontarmi. Avevo scritto tanto, come giornalista, nella mia vita. Mi sembrava di essere in pace con almeno uno dei miei desideri giovanili. Tu mi hai fatto capire che non era vero, che non era così. E me lo hai fatto capire in quello che è stato il tuo primo corso di scrittura creativa qui a Lucca, quando ci si incontrava la sera dopo cena in quella stanzetta sopra Luccalibri, che stava ancora, era il 1996, in via San Paolino.

Ora te lo posso confessare: ero venuta, insieme ad altre otto, dieci persone forse, altri che sono poi diventati scrittori come Andrea Bocconi, Fabrizio Mercantini, Livio Macchi, più per amicizia che per fiducia nelle scuole di scrittura. Facevo parte, forse anche per età, di coloro che erano convinti che fossero una cosa inutile, che o sai scrivere o non sai, o hai talento o non l’hai. Fu un’esperienza bellissima e importante. Non tanto per il fatto che, subito dopo, ho cominciato a scrivere il mio primo libro – sono un po’ dura e rimango ancora, in parte, dell’idea che o sai scrivere o non sai – ma perché tu sapevi tirare fuori da ognuno di noi quello doveva essere tirato fuori e che, per le motivazioni più diverse, non volevamo o non sapevamo tirare fuori.

Parlo per me. Mi hai insegnato a non svicolare davanti a quello che era quasi un mio dovere: usare una capacità, non voglio parlare addirittura di talento, di raccontare storie e soprattutto di raccontare storie di coloro che non hanno parole per poterle raccontare. Confesso ancora: ridacchiavo un po’ sotto i baffi che non ho quando parlavi di sacerdozio della scrittura, ridacchiavo ma intanto le tue parole entravano dentro di me, perché le cose che ci dicevi, le cose che ci leggevi, tue o di altri, ma soprattutto la tua vita stessa, per come l’hai sempre vissuta, senza compromessi, mi erano di sprone, di esempio, di aiuto.

Ecco Julio, tu mi hai proprio aiutato. Mi hai fornito di un patrimonio inestimabile che altrimenti non avrei mai avuto: quello di far conoscere storie, piccole o grandi che siano, che non sarebbero mai state conosciute, di dare voce a quegli ultimi la cui voce non sarebbe mai stata ascoltata. Senza di te non ci sarebbero stati i profughi della guerra di Bosnia, il piccolo curdo Ahmed, il vecchio soldato Boubacar, la ragazza Maria. Senza di te probabilmente non sarei nemmeno mai riuscita a dare voce a mio figlio Guido, che tu ben conoscevi, e che troppo giovane si è voluto togliere dalla vita. Scrivere di Guido “scrivi Francesca, parla di lui, non avere paura”, è stata la mia salvezza, la mia sopravvivenza. Me ne rendo conto solo in questo momento che ne sto scrivendo: grazie Julio per avermi dato i mezzi per poter continuare la mia, di vita. Mi dispiace di averlo capito tardi e di non avertelo potuto dire quando eri ancora in vita. Spero che il mio grazie ti possa raggiungere lì dove sei, dove io non so, e spero anche che tu e Guido vi incontriate e possiate perdonare la mia svagatezza. Insieme, come faceva lui da ragazzino, mi picchierete con le nocche sulla testa “toc, toc, c’è qualcuno qui dentro?”. Vi sentirò e, prometto, non ci saranno neve sui monti, profumo di primavera, risate di nipoti che mi impediranno di continuare a fare quello che mi hai quasi obbligato a fare.

Grazie Julio, amico che se ne è andato troppo presto e che anche con la tua morte, per come l’hai vissuta tu e per come l’hai fatta vivere a noi, ci hai dimostrato che, in questo mondo che sembra averle dimenticate,  hanno ancora un senso parole come dignità, coerenza e coraggio.

 

L'autore

Francesca Caminoli