Racconti e poesie

ricordi – Melita Richter

Era un faro sicuro, Julio

Quando gli amici ci lasciano ci troviamo smarriti e pervasi da una sensazione di vuoto, un vuoto impervio come il sentiero andino che non capiamo più dove ci porti, o come il suolo delle saline mediterranee divenute inaspettatamente aride e ferite. Un vuoto pesante come l’azoto, il respiro che manca, il dolore che permane. Così mi sentii alla notizia che Julio Monteiro Martins ci ha lascati. E sono ancora qui, incerta, che cerco di raccogliere i cristalli di sale e saggezza che la sua permanenza sulle terra ci ha lasciato in custodia dopo la sua ultima migrazione. Quanti mari ancora avrebbe potuto attraversare, quante spiagge condividere, quanti iceberg svelare, quanti incontri promuovere, parole da scrivere, formulare, pronunciare, ridere, urlare, amare, abbracciare, reagire, ribellarsi, denunciare, cantare, compiere scelte grate e meno grate, quante storie tessere ancora…

 Consapevole che già le sue prime migrazioni partivano da un’idea chiara del non ritorno, nella radicalizzazione del non ritorno ha vissuto tutta la vita, convinto della giusta scelta. La seducente metafora del viaggio l’ha accompagnato e ha segnato fino in fondo la sua strada.

Raccolgo i granelli di sale che brillano lasciati sul suo percorso, cerco le sue parole nei libri, nella poesia, nei romanzi, nelle storie brevi di, come egli stesso usava definirsi – un grande teorico della narratologia. ‘Grande’ lo dico io. Li trovo nei suoi pensieri frammentati, negli scritti regalati agli intervistatori, alla carta stampata, ai video e alle tavole rotonde, vorrei trovare anche il nastro che non ho mai sbobinato perché difettoso e mangiatore di mezze parole di una nostra conversazione triestina sulla terrazza sovrastante i tetti della città in un assolato pomeriggio primaverile.

Non ricordo quando l’ho conosciuto e quando incontrato per la prima volta. Il tempo di conoscenza è incerto, galeotta fu Sagarana, la sua creatura brillante, accogliente, lì l’ho sentito fraterno anche prima di incontrarlo. Poi è seguito l’incontro vero, me lo ricordo bene, era nel luglio del 2005 nella sua Lucca, città che così bene incorniciava la sua presenza fisica, ardente e profonda, curiosa dei mondi nuovi. All’epoca, in uno dei seguitissimi seminari che dedicava con grande passione al tema degli “scrittori e scrittrici migranti” mi ha fatto conversare sull’esperienza di chi si accinge alla scrittura in una lingua non sua e lontano dalla terra-madre con Carmine Chiellino. Ricordo che già allora smettemmo di parlare della scrittura migrante come di un fenomeno inaspettato da osservare; né eravamo pienamente immersi con i nostri corpi e le nostre vite migranti, sorgenti uniche che nutrivano la linfa creativa conforme a quanto Julio testimoniava instancabilmente e che pressappoco diceva così: i veri creatori non sono coloro che fanno letteratura, ma che ‘sono’ letteratura. Si tratta dell’essere, non del fare. Lui vedeva meglio di altri dove siamo, individuava gli stadi di invisibilità nel mondo culturale italiano che si stava attraversando, percepiva sulla propria pelle l’esistenza di questi mondi simultanei, paralleli e reciprocamente invisibili, e se non avversi, scioccamente divisi in letteratura contemporanea degli ‘stanziali’, ‘nazionali’, e ‘migranti’. E più che una certezza, esprimeva un augurio: “Negazione e rimozione sono parole d’ordine, da un lato e dall’altro. Ma se è vero che le linee parallele si incontrano all’infinito… allora si può ancora sperare”.[1]

 Amavo citare il suo pensiero. In un  Forum[2] che al tempo avevo promosso sul rapporto con la lingua degli autori italofoni e su cosa accade durante lo smottamento che sul piano culturale, identitario e linguistico  produce la migrazione, il pensiero di Julio era sempre con noi, pungente. L’incipit con cui iniziavo ad elaborare il mio contributo sono state le sue parole:  noi non usiamo un linguaggio come strumento, noi siamo fatti di linguaggio, è mattone della nostra struttura inconscia.

Tra i versi della mia poesia “La pesca delle parole”  Julio c’è:

(…)
lasciarsi scalfire
esporsi supini a sé stessi
e come direbbe Julio Monteiro Martins
aspettare che esse agiscano
colpiscano
feriscano
leniscano
guariscano
che segnino
che impregnino i nostri corpi erranti.

 Lui c’era, anche se lontano. Non ci frequentavamo, ma la sua presenza era reale perché assorbita in un altro tempo, un a-tempo forte di uno spessore psicologico acquisito che solo l’amicizia e il rispetto reciproco sigillano. Non vi era necessità di verifiche. Era un faro sicuro, Julio. Non smarrirò la sua luce. Nonostante ora questi cristalli che raccolgo luccichino di un riflesso smorzato, non si scioglieranno, diventeranno grumi di saggezza indispensabile per affrontare il caos ontologico e quello reale di un mondo inospitale in cui sono/siamo immersi.

 Affiora ancora, senza alcun annuncio, un istante che catturo e che vorrei condividere con voi, un passaggio in cui Julio Monteiro Martins, professore di traduzione letteraria all’Università di Pisa, cercava di articolare la difficoltà della traduzione da una lingua all’altra, indicando al rischio di perdita-acquisizione e al sottile cambiamento semantico al quale l’essenza della parola è esposta nel processo di traduzione. Citava una poesia di Pessosa i cui versi finali dicono: “Navegar é preciso, vivir não é preciso”. E spiegava che sta a noi la scelta della traduzione, quella che mantiene la parola  portoghese ‘preciso’, oppure quella che – come lo permette la lingua originale – offre due significati, ‘preciso’ e ‘necessario’. E allora si stende di fronte a noi uno scenario linguistico-filosofico del tutto nuovo e arricchito e opzioni diventano due:

  1. a) Navigare è preciso (sai dove devi andare), vivere invece non è preciso (non sai mai dove vai a finire);
  2. b) Navigare è necessario (lavorare ecc.), vivere invece non è necessario (puoi anche morire, ma se sei vivo allora devi navigare).[3]

Da esperto traduttore, peregrino e viaggiatore, Julio non si sarebbe mai smarrito nel vasto mare della sua ininterrotta navigazione. E’ stata un’onda troppo forte, anomala e impietosa a strappargli la bussola.

 * * *

 Anni fa, quando ho iniziato ad articolare un progetto letterario, un’antologia che raccogliesse le testimonianze degli autori/autrici italofoni/e sul significato del libro nella migrazione, ho pensato prima di tutti a Julio. Il suo testo mi arrivò per primo. Il racconto che egli mi aveva inviato è tuttora inedito, il mio progetto si sta avviando alla conclusione lentamente. Lo tiro fuori dal cassetto e lo condivido con voi in ‘anteprima’ con un immenso piacere

[1] Vedi in:  Intervista a Julio Monteiro Martins in www.comune.fe.it/vocidalsilenzio/monteirointervista.htm
[2] Il Forum a cui hanno preso parte gli autori  Vesna Stanic, Marija Mitrovic, Barbara Serdakowski e Mihai Mircea Butcovan è stato inserito con il titolo “Una lingua abitabile: dialogo con gli autori migranti dell’Est-Centro Europa” nel libro Intersezioni babeliche. Lingue dominanti e lingue dominate nella letteratura del ‘900, ed. Kappa Vu,  Udine, 2007
[3] Vedi in: www.sagarana.net/scuola/seminario2/giovedi_pomeriggio.htm

L'autore

Melita Richter

Sociologa, saggista, mediatrice culturale. Già docente di Letteratura serba e croata moderna e contemporanea alla Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Trieste, attualmente docente al Corso “Donne, Politica e Istituzioni” della stessa Università.
Coautrice del libro Conflittualità balcanica integrazione europea(Editre Edizioni, Trieste, 1993), curatrice del libro L’Altra Serbia, gli intellettuali e la guerra (Selene Edizioni, Milano 1996). Assieme a Maria Bacchi, curatrice del libro Le guerre cominciano a primavera – soggetti e identità nel conflitto jugoslavo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003. Curatrice del libro Percorsi interculturali. Esperienze di mediazione culturale a Trieste, Interethnos, Trieste, 2006; Curatrice (con Silvia Caporale Bizzini) del libro Teaching Subjectivity. Travelling Selves for Feminist Pedagogy, book series by ATHENA, Centre for Gender Studies, Stockholm University, 2009; la versione ampliata dello stesso libro esce in lingua italiana con il titolo “Soggetti itineranti. Donne alla ricerca di sé” nel 2013 da Albo Versorio, Milano.
Collabora a molte riviste nazionali e internazionali sui temi dell’interculturalità, questioni balcaniche e l’integrazione europea.

Ha promosso la raccolta dei testi di autori ‘migranti’ a Trieste diventata collana editoriale del CACIT – Coordinamento delle Associazioni e delle Comunità degli Immigrati della provincia di Trieste. Alcuni titoli delle antologie: “Sguardi e parole migranti” (ed. 2005); “Sapori incontri fragranze” (ed. 2006), “Migrazioni e paesaggi urbani” (ed. 2008); “Migrazioni e memorie delle donne” (ed. 2010);
Ha curato anche “Cuori di sabbia” (ed. CACIT 2011) – primo romanzo dell’autrice Bousso Thioune Benussi, appartenente alla seconda generazione degli immigrati a Trieste.
E’ membro della SIL – Società italiana delle letterate. Per la sezione triestina della SIL ha curato il Quaderno no.1 sul tema “Terzo spazio”, ed. SIL Trieste, 2011.
E’ una delle fondatrici della Casa internazionale delle donne di Trieste e fa parte dell’Associazione Donne d’Europa- Women of Europe – Zene Europe.
Scrive anche poesia. Fa parte della Compagniadellepoete, fondata da Mia Lecomte a Roma nel 2009. Partecipa ai reading di poesia in Italia e all’estero. Ha preso parte attiva all’incontro internazionalePoetesaparis, Parigi, ottobre 2013, promossa dal poeta Yvan Tetelbom. E' deceduta nel 2018