Silvia Camilotti
Ripensare la letteratura e l’identità
Bononia University press 2012
raffaele taddeo
La Letteratura italiana della migrazione, che ormai preferirei chiamare Letteratura-mondo italiana dopo il saggio di Rosanna Morace, continua ad arricchirsi di nuovi saggi e studi che esaltano il valore letterario e sociale delle opere prodotte da cittadini stranieri di recente immigrazione. Silvia Camilotti nel suo recentissimo ed interessante testo “Ripensare la letteratura e l’identità”, mette a fuoco alcuni aspetti di rifocalizzazione dell’identità degli italiani che subisce alterazioni e modificazioni notevoli a partire dagli scritti degli autori della Letteratura- mondo italiana, in particolare vengono presi in esame due testi: “Occhio a Pinocchio” di Jarmila Ockayová e “Regina di fiori e di perle” di Gabriella Ghermandi.
La scelta di questi due testi è giustificata dal fatto che le due scrittrici si confrontano con due opere di due scrittori autoctoni, uno ormai da considerarsi un classico e cioè “Pinocchio” di Collodi e l’altro “Tempo di uccidere” con cui Ennio Flaiano vinse il primo premio Strega nel 1947. I due testi riportano e costruiscono l’immaginario identitario italiano.
Un primo aspetto costituito dal saggio di Silvia Camilotti è dato dalla riflessione sul concetto e idea di identità, di cui dapprima viene illustrata la discussione fatta da critici negli anni più vicini a noi, poi lo stesso viene trasferito dalla soggettività alla società. “Caratterizzare la soggettività in senso monocromatico significa negare i processi che l’hanno plasmata e che non smettono di trasformarla, ignorandone il carattere posizionale, situato (Stanford Friedman 1998, 47 S). Ciascuna soggettività si colloca tra più appartenenze, anche tra loro contraddittorie, e lo stesso si dice per le società (il corsivo è mio), che nascono dallo scambio e che sopravvivono in virtù di esso. L’apertura all’alterità è conditio sine qua non alla sopravvivenza…affermazioni ovvie…tuttavia, calate nel contesto italiano, non appaiono scontate, vista la martellante retorica che tende a congelare i caratteri dell’ “italianità”. Posto a critica anche quest’idea di cultura o identità nazionale la saggista Camilotti mette in relazione l’influenza che la letteratura e il canone letterario hanno nel definire e rafforzare l’idea di identità di una nazione e contemporaneamente come altra letteratura possa servire ad una decostruzione della stessa identità e al riconoscimento paritario dell’altro e di altra cultura.
Pinocchio e Tempo di uccidere sono esempi emblematici di questo processo individuatore e costruttore di quello che è possibile chiamare carattere nazionale o italianità. Al contempo Occhio a Pinocchio e Regina di fiori e di perle possono rappresentare due esempi della cosiddetta Letteratura della migrazione in lingua italiana per la decostruzione delle immagini del carattere nazionale e identitario portato dai testi degli autori autoctoni sopra citati.
Dopo una breve analisi della denominazione da assegnare agli scritti prodotti in italiano da cittadini stranieri di recente immigrazione, passando dalla classica definizione di Armando Gnisci Letteratura italiana della migrazione), a quella nostra ( Letteratura Nascente) e a quella di Franca Sinopoli (scritture letterarie) Silvia Camilotti si pone il problema di che cosa sia “Letteratura” e quando un testo possa essere considerato letterario. Posto al vaglio critico anche questo concetto, la saggista conclude che “le opere di autori e autrici immigrati…fanno vacillare la triade territorio-lingua-letteratura, che ha sempre sostanziato l’idea di letteratura nazionale, nonché contribuiscono a sfatare sedimentati stereotipi collettivi.”
Sono queste le premesse essenziali e fondamentali che permettono poi di esaminare come le immagini sulla italianità fondate sul Pinocchio di Collodi possano essere sfatate e messe in discussioni dal testo Occhio a Pinocchio di Jarmila Ockayová e così pure l’idea di “italiani brava gente”, che ha permesso di non fare i conti con la dura storia della colonizzazione perpetrata dagli italiani nel corno d’Africa e in Etiopia, viene posta a critica dal testo di Gabriella Ghermandi che restituisce dignità al popolo e alle donne etiopi.
Si lascia al lettore l’individuazione degli stereotipi che i testi delle due autrici “migrate” sovvertono e ribaltano contribuendo non poco non solo alla rifocalizzazione dell’italianità, ma specialmente al suo superamento nella consapevolezza della precarietà della definizione identitaria non solo del singolo individuo ma anche delle singole società perché tutti e tutte possono sopravvivere solo nella reciprocità.
novembre 2012