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saggio su Julio – Simona Tratzi

Articolo apparso sulla rivista Volontari per lo sviluppo, anno XXIV – Giugno-Luglio 2007

IL GLOBE-TROTTER DELLA PENNA

“Sono uno scrittore italiano di origine brasiliana”, così Julio Monteiro Martins definisce il suo status di immigrato a Lucca. Autore di 21 libri, docente di fama mondiale, fondatore della scuola Sagarana e della rivista omonima, Julio racconta a VpS la sua storia. Non solo come scrittore, ma anche come avvocato dei diritti umani e fondatore del primo Partito Verde brasiliano”.

  Parlando con Julio Monteiro Martins è difficile sfuggire al fascino di questo giovanissimo 50enne con la risposta pronta e la risata travolgente. Immigrato a Lucca da 12 anni, autore di 15 libri in Brasile e 6 in Italia, fondatore della scuola di scrittura creativa Sagarana e della rivista omonima (www.sagarana.net), si definisce semplicemente uno “scrittore italiano do origine brasiliana”. Eppure nel suo paese è considerato una leggenda per la fama di docente e i successi letterari. Ma lui minimizza: “Il Brasile è un paese giovane ed essere sulla cinquantina lì vuol dire far già parte del passato!”. Modestia a parte, Julio ha alle spalle una bibliografia eccezionale: non solo romanzi ma anche poesie, opere teatrali, saggi e sceneggiature cinematografiche che offrono un’immagine sorprendente dell’Italia attuale vista con uno sguardo brasiliano inserito ad hoc nella nostra realtà. Guai, però, a definirlo “scrittore migrante”. “Questa etichetta all’inizio serviva a identificare ogni autore straniero che scriveva in italiano. Oggi, però, è divenuta una classificazione molto stretta, perché l’universo letterario si è arricchito”.

In più Julio non è solo uno scrittore. Ma anche avvocato dei diritti umani e fondatore del Partito Verde brasiliano; profondo conoscitore delle lingue straniere (ne parla 5 tra cui il giapponese) e delle donne. Sono proprio i rapporti sentimentali il leit motiv del suo ultimo lavoro L’Amore scritto (Ed. Besa, 2007) di cui lui stesso fatica a definire il genere: “Nel libro ci sono racconti brevissimi, altri con dimensioni “normali”, oppure frammenti narrativi così sintetici da sembrare aforismi. Tutti però sono variazioni del rapporto uomo-donna”.

 Un “sacerdozio laico”

 Il tema appassiona Martins fin dal primo libro Torpalium (1975) dove racconta la relazione di due amanti di ceto sociale opposto. Una storia che ricorda quella della sua famiglia. “I miei genitori – dice Julio – erano legati da uno strano matrimonio: ricco uomo d’affari e noto playboy lui, colta donna del ceto medio lei. L’unione purtroppo si è interrotta quando ero ancora piccolo. È stata mia madre a crescermi e ad avvicinarmi alla letteratura”. E infatti l’ex signora Martins insegnava letteratura angloamericana all’Università di Rio de Janeiro e preparava le lezioni insieme al piccolo Julio. “Prima di andare a letto mi leggeva i romanzi e le poesie dei grandi scrittori americani come Frost o Steinbeck”.

A 12 anni Julio inizia a comporre poesie e racconti brevi. Ma non è ancora l’inizio della sua brillante carriera letteraria. “Mi iscrisse a giurisprudenza quando l’America Latina era tormentata dalle dittature: studiare diritto costituzionale rappresentava un atto di resistenza. Ma non volevo fare l’avvocato”. La decisione non piacque molto alla madre. “Subito non disse nulla, poi mi fece promettere di ricordare che la letteratura non è divismo, ma un sacerdozio laico. Scrivere non è il risultato di un inspiegabile “dono degli dei”, ma un mestiere nato da un particolare processo di formazione – culturale, psicologica, etica – che agisce su una particolare sensibilità”.

La carriera di Martins è la materializzazione di questo insegnamento: in lui la letteratura non è ornamento o svago ma una forza di trasformazione sociale.

Secondo questo principio, Julio diventa scrittore e docente prima in Brasile e poi negli Stati Uniti dove apprende le tecniche narrative che gli permetteranno di girare il mondo.

Nel ’79, a soli 24 anni, con all’attivo tre libri pubblicati e la fondazione della casa editrice Anima (1977) vince il prestigioso titolo Honorary Fellow in Writing scalzando 40 collegli di fama mondiale. Questo riconoscimento gli spiana la strada nel panorama letterario statunitense, all’epoca molto dinamico. Vive negli Usa i tre anni sucessivi, insieme all’americana Jamie, e insegna scrittura creativa nei college del Vermont e di New York.

 Stop alla letteratura

 Quando Julio M. Martins torna in patria, tra i partiti di sinistra brasiliani si sviluppa una corrente ambientalista. Deciso difensore delle foreste tropicali, Julio partecipa alla nascita del primo Partito Verde del paese. Ma nell’86 la coalizione si scinde e lo scrittore, con una decina di amici, fonda il movimento ambientalista Os Verdes, attivo ancora oggi. Salvare l’ambiente però non è la sua unica preoccupazione. Sono gli anni in cui Stato e opinione pubblica considerano i bambini di strada un’emergenza sociale da risolvere in fretta, perché causa di violenza e delinquenza. Questo odio generalizzato si concretizza nel luglio ’93 con un’incursione armata della polizia che uccide 9 meninos de rua e ne ferisce centinaia. Il drammatico fatto è noto come la Strage di Candelaria. “Questo è il nome della più antica cattedrale di Rio de Janeiro. Le piccole vittime bussarono alle porte della chiesa ma i preti non aprirono e molti furono giustiziati lì davanti”.

A proteggere i diritti dei bambini sopravvissuti solo un gruppo di attivisti capeggiati da Anna, la sua fidanzata dell’epoca. “All’ufficio dell’assistenza sociale avevano bisogno di aiuto per il processo contro gli aggressori, così iniziai a fare l’avvocato”. Julio e altri sei coraggiosi si impegnano a proteggere l’incolumità di 30 bambini sopravvissuti alla matanza. “Aiutarli è stato difficile: il governo era indifferente e la gente non ci appoggiava. Allora ci rivolgemmo alla stampa internazionale e il caso divenne di dominio pubblico”.

Alle parole seguono le azioni. “Avevamo nascosto i bambini all’interno di un edificio ma non era facile convivere perché si sentivano in prigione”. Per distrarli inventano giochi; “un giorno abbiamo costruito un aquilone e lo abbiamo fatto volare dal tetto per ritrovare un senso di libertà”.

 Lo scrittore con la valigia

 Poi Julio riprende la sua attività letteraria e l’eco dei suoi corsi di scrittura creativa, attività praticamente sconosciuta in Europa, arriva fino all’Istituto Camões di Lisbona che nel ’94 lo invita nel suo ateneo. “Fu un periodo molto intenso che ricordo con molta gioia perché lì incontrai Cristiana, la madre di mio figlio Lorenzo”. Si deve a lei l’approdo di Julio a Lucca, nel ’95.

“In Italia ho trovato un panorama desolante riguardo la scrittura creativa, un insieme di ignoranza, derisione  e diffidenza. L’ambiente letterario italiano era fermo agli anni 40 con una forte eredità dei miti romantici. Anche scrittori importanti utilizzavano sulle pagine dei periodici termini come “dono”, “ispirazione”, “genio” perché ignoravano proposte più moderne”. Solo alla fine degli anni 90 la situazione si sblocca. “Oggi siamo nel mezzo di un intenso processo di sviluppo che spero porterà la letteratura italiana a una sorprendente qualità e varietà di corsi, scuole e master di scrittura”.

La parte più consistente della sua opera è stata pubblicata in portoghese, negli anni precedenti il suo arrivo in Europa. Sono 15 libri, ma nessuno è stato finora tradotto in Italia. Poi ci sono i testi scritti direttamente in italiano, Il percorso dell’idea (Oltre Le Mura/Baldecchi e Vivaldi, 1998), Racconti italiani (Ed. Besa, 2000), la raccolta La passione del vuoto (Ed. Besa, 2003) e il romanzo Madrelingua (Ed. Besa, 2005).

Da Niterói, il piccolo centro della baia di Guanabara (vicino a Rio de Janeiro) in cui è nato, all’Italia la strada è lunga. A separare le due realtà una lunga scia di successi letterari, la docenza in prestigiose università, la fondazione di una scuola, la direzione di una delle più prestigiose riviste letterarie e una nuova compagna, Alessandra.

Insomma un vero smacco allo stereotipo del migrante che vive ai margini, anche se il primo approccio sembra uguale per tutti. “Superata la diffidenza e il pregiudizio iniziale subentra una profonda curiosità verso una cultura diversa. L’immigrato subisce un’inculturazione inconscia: all’improvviso qualcosa si rompe e si inizia a pensare e parlare nella nuova lingua. Appena arrivato restavo fino alle 3 del mattino davanti alla tv senza capire niente e oggi, paradossalmente, quando esco con i miei amici brasiliani che vivono qui parliamo solo in italiano”.

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L'autore

Simona Tratzi