Recensioni

Seppellite la mia pelle

Hamid Barole Abdu
Seppellite la mia pelle
Edizioni Artestampa – Modena   2006

giulio soravia

Hamid Barole è nato in Eritrea, ma da molti anni vive in Italia, figlio di una diaspora conseguente alla tragedia della lunga guerra che ha insanguinato il suo Paese alla ricerca di una indipendenza impedita prima e osteggiata poi dagli interessi delle potenze coloniali. Insegnante, giornalista, intellettuale impegnato, in questo volume raccoglie, in un’edizione integralmente bilingue italiano e inglese, una sua produzione letteraria che comprende poesie e brevi racconti.
Nelle intenzioni dell’Autore, i proventi del volume sono destinati ad aiutare i campi profughi eritrei in Sudan.
Tutta la sua produzione poetica tocca corde dolorose che rammentano al lettore la sua condizione umana ed esistenziale di profugo, lontano dal proprio Paese. Poesie che descrivono affetti contesi, rapporti conflittuali con una società amica e ostile, contraddittoriamente, situazioni di paradosso, eppure reali, persone e fatti.
Tra queste spiccano favole di comune squallore, come la storia della bambina che non va a portare focacce alla nonna come Cappuccetto Rosso, bensì: “Ogni notte, davanti/ all’ufficio immigrazione/della Questura/c’è la fila/ di uomini e donne/giovani e vecchi/gente di tutti i colori”.È a questo popolo dell’attesa che la bambina racconta la sua favola. Per scaldare il cuore di chi gela nel freddo del clima e dell’indifferenza. La bambina sorride, perché almeno lei, da grande, non farà queste code…
Ottimismo? Speranza? Certo in Barole c’è una voce che rifiuta il lamento sterile e la disperazione. Egli si serve piuttosto di un discorso semplice e diretto, concreto al punto di descrivere situazioni reali,che se non nascondono la sua personale sofferenza, vanno al di sopra dell’egoistico dolore di un esiliato e inneggiano a un’umanità oppressa, ma fiera e capace di guardare con quella piena consapevolezza della propria condizione che la società attorno non riesce ad avere.
Nel testo di “Seppellite la mia pelle in Africa” leggiamo: “Lavorai per anni e anni/ feci nascere bambini/da mamma e badante/ e quelli che furono bambini/adesso sono ormai grandi e adulti…/ Preparai valigie infinite/vacanze costose nei mari lontani/bella vita dei miei padroni/dire “Signori è servito” tutti i giorni/ ospiti che non conoscono “grazie”…”
Sembra, leggendo queste pagine, di riscoprire qualcosa che sapevamo ma abbiamo taciuto anche a noi stessi. Riscopriamo delle presenze tra noi di persone che non sono profughi, emigrati, clandestini o stranieri, extracomunitari e ospiti, da schedare o rinviare al loro paese, bensì individui, integrati o meno, in una società che li vuole omologati a sé, assimilati, resi identici e uniformi, individui con problemi, vissuti, affetti e sogni “normali”. Che vivono con noi e di cui non possiamo fare a meno ormai.
Per questo è un libro da leggere, soprattutto da chi non abbia idea di che cosa significhi essersene andato dalla propria casa solo per trovare umiliazioni e malanimo, quando il suo desiderio è quello di lavorare, riorganizzare la propria esistenza e vivere, semplicemente vivere. Così ne “La denuncia dei redditi e l’8 per 1000” Barole scrive:
Una sera d’inverno, quando i vostri bambini sono già a letto. prendete il telecomando e spingete il bottone “off”, spegnete la signora tv, nonostante il programma di performance teatrale egiziano stia andando in onda. I programmi vi arrivano dal Libano, grazie all’antenna parabolica che avete istallato sul balcone della vostra casa (p. 176).
Vorrei che il libro lo leggessero tanti, ma soprattutto coloro che scrivono con leggerezza che una barca di clandestini si è rovesciata in mare. Quali clandestini? Sono uomini e donne in fuga dalla morte che vanno incontro alla morte in un’Italia che li bolla di clandestinità, prima ancora che entrino in tale condizione.
Chi usa le parole dovrebbe andare a scuola e impararne oltre al significato quanto esse possano ferire o lenire un dolore. Questo libro può insegnare a usarle a molti, che non sanno che dietro le parole stanno esseri umani.

13-07-2008

L'autore

Giulio Soravia

Giulio SORAVIA insegna Lingua e letteratura araba all’Università di Bologna. Linguista di formazione, si è dedicato a molti settori di studio, tra cui la cultura del mondo zingaro, l’educazione linguistica e multietnica, i viaggiatori in Oriente, la civiltà islamica, viaggiando e soggiornando a lungo in Somalia e nel Corno d’Africa, in Egitto e altrove nel mondo arabo e nel sudest asiatico, soprattutto in Indonesia. Ha pubblicato oltre duecento articoli e libri. Dei più recenti ricordiamo il Vocabolario sinottico delle lingue zingare parlate in Italia, (Roma 1995), Fiabe indonesiane (Padova 1996), Poeti dell’Indonesia (Bologna 2004), La letteratura araba. Autori, idee, antologia (Bologna 2005), Manuale pratico Italo-somalo (con Abla Osman Omar, Bologna 2007), Manuale di arabo parlato (Bologna 2007), Parola, Bologna 2007. Con la collaborazione di Ahmad Addous ha pubblicato Sei poeti di Palestina (Bologna 2003) Iman. Corso di lingua araba in CD (Bologna 2003) e inoltre ha curato l’edizione de L’epistola sull’unicità divina di Muhammad ‘Abduh (Bologna 2003). Inoltre in formato digitale ha pubblicato Kursus Bahasa Indonesia, AlmaDL Campus, 2007 (https://amscampus.cib.unibo.it), The Alas Language (Northern Sumatra), Alma DL, Acta, 2007 (https://amsacta.cib.unibo.it), Manuale Tetum, AlmaDL Campus, 2007 e Manualetto Aceh, AlmaDL Campus, 2007. Ultimamente si è dedicato alla letteratura in proprio, pubblicando L’uomo delle sabbie e Il pastore del nord (entrambi Bologna 2007).