Livia Claudia Bazu
Sull’orlo delle cose
Cosmo Iannone editore pag. 84 € 10,00
raffaele taddeo
La lettura dell’interessante silloge Sull’orlo delle cose mi ha scaraventato a riflessioni filosofiche d’altri tempi. L’essere è e non può non essere pensa Parmenide, il quale raffigura l’essere come una sfera tutta piena, senza interstizi. Tutta la prima parte della silloge di Livia Claudia Bazu risuona dell’affermazione che nella realtà non ci sono fratture, non esistono, non ci sono zone vuote o interrotte. Tutto è in una dimensione di continuità: “Nessun buco,/ nessuna interruzione,/ metro per metro sfera/ c’è/”, “…/l’imbrunire e il condensarsi/il farsi uno delle cose tante(1)/tagliate e rivolte”. Sembrerebbe di essere davanti ad una poesia che si sviluppa sul piano della metafisica, ed invece quando la si legge per una seconda volta ci si accorge che vi è una risonanza di profondi aspetti interiori che forse non riescono ad emergere con tutta la forza e prepotenza o disperazione e vengono incanalate nel discorso poetico veicolo in questo caso di verità ma anche di catarsi.
Una poesia delle prima parte sembra essere il manifesto poetico della Bazu, un po’ come I limoni è il manifesto poetico di Montale. Non è un caso che nomini il grande poeta ligure perché Gli interstizi hanno un andamento, una forma di poesia molto simile a quella montaliana. Perché dopo l’elenco di alcuni oggetti che acquistano la valenza di simboli, “case diroccate”, “le aule vuote”, “i sotterranei” (siamo quasi davanti a correlativi oggettivi), la poesia acquista una dimensione scenografica fino alla rivelazione o apparizione della scena finale che spiega ogni cosa: “E lo spazio si scioglie cade e ti rimescola in testa/ scivolano tirano e si arrotolano in nuovi segni/ gli orizzonti e le direzioni/ riunendosi infine per comporre il volume/ che adesso è palpabile./ E indovini passaggi segreti tra i continenti”. La poesia allora consiste nel poter cogliere “i passaggi segreti” fra le cose, cogliere ciò che non si riesce solitamente a percepire e che solo l’afflato poetico, l’illuminazione poetica può portare alla luce. Gli aspetti sconosciuti che sono nella realtà vengono creati ad ogni incontro, il quale dà luogo a figliolanze impensabili; nella realtà esistono i ginn anche se noi non li vediamo o ad essi non crediamo ed hanno la funzione di legare le parti che possono sembrare fratturate, separate.
Se l’humus che serpeggia in tutta la silloge è quella della unitarietà dell’essere, poi la poesia si esprime in vari contenuti che vanno dalla trattazione di alcune attività umane, mestieri si potrebbe dire, (la curandera, la levatrice, il custode)a quelle che trattano anche del rapporto d’amore nella congiunzione fra un maschio e una donna, alla trattazione di alcuni aspetti della realtà la cui occasione può essere stata data dalle più svariate cause o situazioni; così si può riflettere su che cosa possa essere il mondo oppure cosa ci può essere sotto la città oppure ancora che rischi ci siano in un innesto o che cosa possono aver significato i sacrifici umani e che insegnamento ci danno ora del problema della morte così assuefatto ai nostri giorni. Di tanto in tanto la riflessione sull’essere riemerge come nella poesia Il tempo pieno in cui si accenna al fatto che non solo lo spazio è una unità, ma anche il tempo è della stessa caratteristica perché “quello che fu non fu”, possibilità che permette “ di svegliarmi/ sapendomi/ ancora me/potendo riconoscere/ancora te”.
L’io rischia di perdersi in questa immensità di tempo e spazio che se in Leopardi portava ad un dolce naufragare nella poeta(2) avviene quasi uno smarrimento: “E vorrei esserci soprattutto/ in certi momenti/ in cui/ qualcosa deve essere detto/ ma è troppo incerta/ troppo densa la sostanza/ un fiume intero è corso in un lampo/ solo per sapere che ci siamo”.
Qualche considerazione sul piano tecnico. Qua è là appaiono correlativi oggettivi, a volte ancora è la dimensione scenografica che si impone, ma quello che mi sembra più caratteristico è la necessità che la Bazu ha di fermare il flusso poetico su un breve sintagma per poi rilanciare la poesia . Ecco alcuni esempi: “Si frange l’immagine/ e/non si può stare”; “”Nessun buco/ nessuna interruzione/ metro per metro sfera/ c’è/ strada per strada/…/per sguardo/ c’è/vertiginosamente pieno di cose”; “il sapore che sto cucinando/ è/nel passo pensiero”; “nella speleologia del giorno/ e lei/ non osa ricomporlo”. Ce ne sono molti altri. La forma sotto molti aspetti assume una caratteristica omologa alla dimensione poetica individuata in quanto i sintagmi rappresenterebbero gli interstizi di connessione nella totalità della realtà.
(1)Il neretto è aggiunto da me
(2)uso il termine poeta al femminile invece che poetessa anche perché Livia Claudia Bazu appartiene alla compagniadellepoete, le cui componenti amano chiamarsi poete e non poetesse.
4 gennaio 2016