San Valentino comunista, con Beatles & Billy Idol
Il primo fu l’amore irraggiungibile per il partigiano che, appena scopre la morte della sua amata, si presenta davanti ai soldati tedeschi e si fa uccidere sparando all’impazzata circondato da una nube di polvere mortale. Nei libri scolastici l’evento fu descritto come il sacrificio sublime del partigiano per la causa giusta. Anni dopo, da adulta e con un’altra chiave di lettura capii che era il suicidio di un uomo, un atto d’amore verso la sua amata che non aveva mai potuto sfiorare . Mi raccontavano la storia di questa partigiana trovata morta in mezzo ad un bosco, immersa in un pozzo di sangue. Un colpo secco sulla testa. Non si seppe mai chi l’avesse uccisa. Forse un pretendente respinto. Presumo che il compagno, logorato dai dubbi terrificanti, al successivo combattimento decise di scontrarsi con il nemico a petto scoperto. Per noi, nipoti dei comunisti di una volta, questo ragazzo era un vero amante, il macho, l’uomo giusto per un San Valentino comunista. E ognuna di noi almeno tra le cugine, lo immaginava come combattente che si faceva uccidere per noi…
Ovviamente tutto questo aveva poco in comune con El Sol del Mexico, l’apparizione che ci fece dimenticare il partigiano in circa quattro minuti.
Il cantante prodigio di soli quattordici anni El sol del Mexico fu come una cometa: nel 1985 incantò i giovani al Festival di Sanremo con “Noi ragazzi di oggi”. Quel viso abbronzato, i capelli lunghi e l’espressione angelica erano infilati in costume color miele. Per noi – bambine di tredici anni che leggevamo di nascosto i libri gialli come The Apple Tree di John Galsworthy, non perché polizieschi ma perché vietati – vedere di nascosto Sanremo era un atto di resistenza contro il regime, un pugno anche se fanciullesco ai nostri familiari che continuavano a non vedere l’ipocrisia dei funzionari dispotici e incolti.
Non capivano che non era quello il comunismo per il quale avevano combattuto i nostri nonni e che vedere i cantanti proibiti e scambiare di nascosto delle poesie di Arthur Rimbaud fosse un fallimento del regime che vietava la libertà di pensiero. La libertà vietata diventava preziosa e indimenticabile. Eravamo circa 5 ragazze di 13 anni che trascorrevano notti intere senza chiudere occhio sognando un possibile incontro con Luis Miguel. Tutte in cerca di notizie, foto, storie d’amore.
La storia più banale a noi arrivava intrigante ed affascinante. Il sistema era ferreo, in ogni momento il nostro segreto metteva a rischio le nostre famiglie. Per vedere Sanremo ci si affidava di un barattolo di latta, in albanese “kanoçe”, che bravi ingeneri avevano trasformavano in una antenna televisiva con cui potevamo vedere i programmi stranieri e sbirciare il mondo oltre i confini. Lo consideravamo un vero eroismo e ci vantavamo delle nostre peripezie per vedere un pezzo da Sanremo, o un Hit-Parade del sabato.
Potevamo causare anni di carcere ai nostri parenti vedendo un solo attimo di Duran Duran, The Wild Boys,o peggio ancora, Cradle of Love, quel pazzoide di Billy Idol ….
Un giorno una di noi trovò una foto di Luis Miguel. La foto era di un nostro conoscente che cercò di vendercela a fior di soldi. Non ci abbiamo pensato neanche per due secondi. Abbiamo messo assieme tutti i nostri risparmi per poter comprare il nostro idolo. Ognuna di noi si teneva questa foto per un giorno e il giorno che spettava a me mia mamma la trovò sotto il cuscino mentre cercava uno dei suoi libri. Furiosa me la fece a pezzi. Mi servirono giorni e giorni per riattaccarli, piccoli e grossi, il naso con le labbra, gli occhi con la fronte…
Ma come tutti gli amori fluidi anche questo si placò e di seguito il nostro tempio fu occupato prepotentemente da coloro che costruirono da lì a poco il nostro modo di vivere. Ovviamente sto parlando dei Beatles e in particolare di John Lennon. Cominciarono i diari nascosti con le foto dei ragazzi di Liverpool, le nostre chimere spiccarono un volo infrenabile, entrarono in una dimensione che in realtà non ci apparteneva, e non non apparteneva neanche a John, debole e fragile com’era.
Un umano come lui come faceva a sopportare il suo talento delirante e incontenibile? Troppa sensibilità dentro, troppa delizia nel suo cuore delicato… Cosi pensavamo mentre la dittatura stava perdendo le forze e tutto d’un colpo ci trovammo davanti al tramonto dei nostri amori.
Evidentemente da liberi capimmo che la libertà non aveva migliorato le altre società, che non bastavano talenti come John Lennon a cambiare il mondo, e che Nutopia, il posto senza terre e senza frontiere era rimasto appunto una Utopia.
Se avessi scoperto la rana crocifissa di Martin Kippenberger nell’Albania degli anni 80 avrei pensato che la rana era una proposta d’amore andata male, sacrificata solo perché nessuno aveva trovato il coraggio di baciarla… A dire il vero la penso ugualmente anche oggi. Oggi che, mentre si parla dell’amore fino allo svenimento, in continuazione centinaia di corpi umani galleggiano sul mare come dei pesci avvelenati. Semplicemente cosi, seguendo i sogni, che per quanto possano essere diversi dal mio, sono sempre sogni d’attrazione verso qualcosa o qualcuno…
A mio parere, se alla rana non viene offerta una possibilità, lei rimarrà perennemente una rana sacrificata perché brutta e ubriaca.
Di disperazione forse…
Amici degli stranieri, ma….
E mettiti gli occhiali di John Nada, cara amica .
E’ una vera maledizione vivere sempre tesi con il timore che, da qualche parte qualcosa vada male per la tua non curanza. È complicato e fastidioso preavvisare situazioni che a prima vista abbagliano di benevolenza sociale e di cooperazione disinteressata, ma poi si rivelano una nitida, anche se nascosta, discriminazione o sfruttamento. Ahimè tutto sarà chiaro quando hai subito il torto, ma potresti usare la tua s/fortuna per mettere al riparo gli altri.
Quando qualcosa non torna ai tuoi ragionamenti odierni di media qualità, cioè quando scatta un allarme di segnale da subconscio, metti ogni tanto gli occhiali benedetti di John Nada.
Il mio amico chiamato in causa è il personaggio del film “Essi vivono” (They live), un film di fantascienza (per modo di dire) con potenti messaggi significativi contro la politica del presidente Reagan. Il film è basato sul racconto dell’autore e vignettista Ray Nelson “Eight O’Clock in the morning”. Il personaggio, un disoccupato a Los Angeles, trova per puro caso un paio di occhiali da sole magici . Ogni qualvolta li mette, scopre con sgomento che il mondo che lo circonda non è quello che sembra. Cartelloni pubblicitari e riviste che senza occhiali appaiano innocue, con occhiali sono comandi subliminali sull’obbedire, sul sottomettersi, a conformarsi, a non pensarci.
Ho pensato a quel film quando ho risposto alla mia amica albanese in Francia :
- Una seconda volta,non fare niente senza aver messo prima gli occhiali di John Nada!
Lo scrissi per sdrammatizzare un po’ l’aria triste dopo che aveva sfogato tutto il suo rammarico per un progetto sugli stranieri andato male. Era cofondatrice da anni di un bellissimo progetto per gli stranieri. In un gruppo misto si erano dati tanto da fare per creare un’associazione del tutto dignitosa e, al momento finale quando tutto stava andando per il verso giusto, erano comparsi nuovi personaggi da fuori. Nuovi di zecca. Quelli che spuntano quando tutto o quasi sta procedendo bene e prendono le fila della situazione. Il cittadino amico degli stranieri, la/il francese che sa come mandare avanti una causa quasi vinta e ha indubbiamente a cuore la problematica degli stranieri. E’ inutile dirvi che si tratta del cittadino di serie A . Un autoctono…
Da straniera alla quale non viene riconosciuta la laurea, non avendo tempo di farne un’altra in Italia, (altrimenti non posso procurare quello che in gergo si chiama “il pane quotidiano”) mi trovo a lavorare come quasi tutti gli stranieri over 30-enta in un ambito del tutto estraneo alle mie esperienze. Attualmente in un negozio di Bolzano e mi sento fortunata. Così mi ha detto anche uno dei numerosi clienti, che chiamiamo con il falso nome di Giacomo Z. Fa parte della prima categoria raggruppata da me come “Amici degli stranieri , ma…”.
Venendo a conoscenza della mia professione, mentre gli valutavo la dentiera d’oro della nonna che teneva in tasca per venderla appena possibile, mi disse:
- Ma , come mai lavori in un negozio? Peccato!!! Ma da dove viene “lei”? Dalla Germania?
La mia risposta lo lasciò a bocca aperta e provocò una risposta sua quasi liberatoria del tipo:
- Ah ! Ecco… Scrittrice, sì, bello… ma… albanese pero’…
E che cavolo, come se studiare Balzac, Thackeray, Paul Eluard e cosi via in albanese valga meno che in italiano.
Appena fuori dall’Albania la tua laurea e la tua professione, la tua esperienza passata e concreta, diventa un piccolo fiore da decorare la misericordia di un qualche bravo cittadino della categoria “Amico degli stranieri, ma….” .
Da lì in poi ,”L’amico degli stranieri ,ma ..” ha cominciato, senza che io glielo chiedessi, a correggermi in continuazione ogni santa parola, i tempi, l’accento, il significato. Ogni storia che cominciavo a raccontargli pendeva come un dito rotto dalle sue interminabili interruzioni,“per il mio bene”. Mai un pensiero completato.
Mi fu tutto chiaro anche senza occhiali di John: al mio “amico degli stranieri , ma..” non interessava più, appena saputa la provenienza, quello che pensavo, dicevo e ribadivo. A lui “stava a cuore” la mia situazione non perfetta dell’italiano, e voleva così aiutarmi a fare salti di qualità. Non aprii più bocca con lui se non per trattare il prezzo, e consegnargli i soldi. Da cestinare immediatamente la categoria del mio cliente Giacomo Z. Il suo comportamento è un chiaro modo per mettervi nella posizione sottomessa, nella posizione dell’intellettuale di serie B, anzi C, vista anche la mia debole preparazione in tedesco, cosa assai grave se vivi in Alto Adige. Si sa che pur non condividendo la storia nefasta tra i due popoli siamo costretti a condividere le conoscenze linguistiche. Non è un opportunità, è un obbligo. Noi, due lingue : italiano e tedesco. Loro solo una. La categoria invece che necessita gli occhiali di John è quella per la quale cercherò di mettervi in guardia, vista l’esperienza bruta della mia amica.
La categoria è delle persone che vivono e lavorano per/con le nostre cause. Immigrazione, stranieri, e cosi via. Quelli che saltano fuori quando avete già preparato “l’impasto”, l’avete lasciato lievitare e accesso il forno. Avete sudato per arrivare qui, e sapevate strada facendo che a qualcuno risultate antipatici, carrieristi, ambiziosi e conflittuali. Ad altri guerrieri e bravi. In fondo ve ne siete fregati. Siete andati avanti perché coperti alle spalle da amici che la pensano come te, italiani e stranieri, che vi hanno incoraggiato a resistere, che hanno confermato le vostre/loro intenzioni, i vostri/loro ideali.
Ideali, come mi dice un’amica cubana, no està de moda, per una società dissestata nei principi morali. E adesso, che, lieti aspettavate il lievitarsi del “pane” qualcosa vi capita. Un che di banale, e vi trovate “incompetenti” a mettere il pane dentro il forno. Qualcuno o qualcosa vi fa capire che forse non siete capaci di fare il salto di qualità. Ah, questo benedetto salto di qualità … Proprio quello che è capitato alla mia amica albanese in Francia. Tante associazioni che create e mandate avanti dagli stranieri, nel momento della fioritura vengono – non si sa come ma si sa il perché – speronati dagli amici degli stranieri. Autoctoni.
Il personaggio autoctono con le giuste conoscenze per farci fare IL SALTO. Anzi direi per farci saltare….
E magari con l’appoggio della categoria ancora peggiore per la difficoltà ad accorgersi, degli “Stranieri ,amici degli italiani per comodità …”
Alla fine, la mia amica orgogliosa per accettare nuovi “padroni” si era dimessa, e si trovava a fare delle pulizie nelle case credo della categoria: “Amici degli stranieri,ma…”
Ultimamente, giudicando le sue dimissioni forse un po’ avventate mi ha scritto: “E’ cosi che funziona…”.
Tutto il mondo è paese e, per noi stranieri ancora peggio… Potevo far finta, essere cieca e muta. Accettare la posizione di serie C e D e lasciargli la strada aperta senza scontri inutili. Tanto l’hanno sempre vint … Meglio che pulire le cas…, no? Non risposi. Potevo dirle che ha fatto bene a non sottomettersi, ma credo che in fondo anche lei lo sa e si compiace. Rimane il fatto amaro che lei pulisce la casa e custodisce i figli alle entità “colte” francesi, che intanto si riuniscono negli incontri dove si affannano per i diritti degli stranieri… Ovvio anche i suoi. Perciò quello che le scrissi fu uno sfogo, esclamare un nostro remoto detto, possibile discendenza saggistica musulmana, aggiungendo un pezzo e mutare un sostantivo:
“Quante cose si fanno e quanta fama e soldi si guadagna, nel nome tuo, Straniero/ (Signore)!”.
“Xie xie” e la terra di mezzo
C’è più di un modo per dire “grazie” in cinese e io l’ho scoperto per caso. Io sono una che non va spesso a tagliarsi i capelli, ho scelto di lasciarli crescere spontaneamente, come i figli dei fiori, illudendomi così di rivendicare una sorta di libertà personale ,senza sottovalutare il notevole risparmio economico. L’anno scorso, però, un impellente bisogno di sistemare la “capoccia” in occasione di una serata al Festival delle resistenze a Merano mi impone di affidarmi alle sapienti mani di un professionista del mestiere. E allora, girovagando per le vie, i viali e le stradine di Bolzano, mi metto in cerca del posto giusto, ma i prezzi mi sembrano ovunque esagerati.
Come se intuisse le mie titubanze sulla scelta del luogo più adatto, poi, ci si mette anche una signora attempata, forse novantenne, con peli bianchi sulle braccia e lingua affilata che mi dice a bassa voce: “in fin dei conti la bellezza costa. 50-60 euro sono spiccioli! Guai però ad avventurarsi dai cinesi. Ne siamo pieni… ti rovinano i capelli, costano poco, è vero, ma lavorano male!”. Non mi va di contraddire una persona anziana, la vedo vulnerabile e le voglio bene a priori. Non ho il tempo per starle a raccontare la storia millenaria della Cina e allora mi limito a dirle solo: “Il 2,2 % vuol dire essere ‘pieni’?”.
Poi c’è il fatto che – e mi scoccia confessarlo – a Durazzo sono abituata a pagare non più di 10 euro per un taglio. La mia amica Almira, che ha un piccolo negozio all’angolo di una minuta moschea che si affaccia sul mare, non mi fa pagare di più. La stradina dietro la porta del locale va verso l’anfiteatro che ha più di duemila anni, e, appoggiati al muro intorno alla moschea, si trovano perennemente un gruppo di nomadi spassosi, residenti del quartiere, che svuotano quotidianamente sacchi di vestiti usati, merce che vendono per pochi soldi. La strada a destra del negozio scorre per un centinaio di metri fino alla chiesa ortodossa. Alle spalle si trova alla stessa distanza la chiesa cattolica. È da quel negozio che sorseggiando il caffè offerto da Almira, con la testa avvolta in un tessuto morbido color acceso, osservo altre signore andare avanti e indietro per i vicoli, con i capelli che odorano di tinta, di olio d’oliva, e di chissà cos’altro. La porta si spalanca in continuazione e si vedono delle nonne incappucciate negli asciugamani che fanno domande, urlano e sbattono la porta per poi ritornare con un byrek caldo, una meraviglia orientale.
Insomma, da quando ho scoperto dieci anni fa questo posto a Durazzo, dove c’è sempre spazio per due chiacchiere, una risata, uno scambio di ricette e di sani pettegolezzi, non riesco a trovare un altro luogo dove mi sento così a casa. Lo so, sono un po’ esigente, perciò, alla fine, fatti due conti ho deciso di andare al negozio vicino a dove lavoro, in Via Milano. Ovviamente è cinese. Spingo la porta e, appena prima di entrare, mi riceve una donnina carina con capelli corti. Scambiate le cortesie di rito, leggermente in ansia le confesso:
- Vede, signora, adesso sono le 8, il problema è che devo essere al lavoro per le 9. Vengo adesso, oppure…?”.
La mia interlocutrice mi dice bonariamente a voce alta, con il tipico accento cinese:
- Lei venile alle 8 e tlenta”, e io rispondo:
- Ma poi temo di non riuscire ad aprire alle 9…
Lei insiste:
- Tu venile, noi fale! No ploblema tu!.
Devo fidarmi, non ho altra scelta. Alle 8 e 30 in punto mi affaccio al salone e, appena dentro, un paio di braccia mi accolgono e mi fanno sedere. Mi guardo allo specchio, c’è una donna dietro di me. Non quella di prima, un’altra. Le spiego più o meno il modello che ho in mente, ci capiamo, evviva. Mi lava i capelli, li raccoglie in un asciugamano soffice e caldo mentre io mi sforzo di non addormentarmi. Dopo un po’ sento tirar via l’asciugamano dai miei capelli e la donna comincia a massaggiarli lentamente. Attraverso lo specchio mi metto a sbirciare quello che accade dietro le mie spalle. Vedo tre signore italiane di mezza età sedute .Una con dei bigodini in testa, l’altra che chiacchiera al telefono, mentre aspetta visibilmente di fare la ceretta ai baffi, e la terza, decisamente silenziosa, che si mordicchia le labbra. Poso lo sguardo su di me dallo specchio e con sorpresa vedo che a prendersi cura della mia testa è arrivato un cinese giovane e magrolino. Nel giro di 10 minuti ha finito, e mentre ancora mi chiedo dove sia scappata nel frattempo la donna di prima, già un altro ragazzo sta terminando la mia pettinatura. È un po’ bassetto e meno giovane del suo collega. Tre persone che si occupano dei miei capelli! La cosa mi appare buffa e allegra.
Alla fine, dopo un paio di “colpetti” qua e là, dietro le orecchie e dietro le spalle, ecco che ritorna la prima cinese, la donnina carina, quella dell’appuntamento, che orgogliosa e sorridente esclama:
- Alle 8 e tlenta cominciale, alle 8 e qualantatle finile! Contenta?
Altro che contenta! Anzi, visto che ho un quarto d’ora di tempo vorrei parlarle di mio padre e mia madre che si sono conosciuti e innamorati in Cina. Raccontarle di come mia mamma per paura che le dessero da mangiare i topi a sua insaputa, si era nutrita per tutto l’anno scolastico di patatine fritte e uova sode, mentre mio padre inghiottiva ciotole e ciotole di riso bollito con vermi bianchi e gonfi, il suo piatto preferito cucinato dai compagni cinesi. Ma non mi è possibile, giacché, tutto d’un colpo, il negozio si è affollato di gente di tutte le età.
Me ne sono andata via, sono arrivata al lavoro alle 8 e 50, e in quei dieci minuti ancora liberi ho avuto il tempo di trovare alcuni versi cinesi del poeta Aì Qīng 艾 青:
“Guarda! Tra i capelli arruffati e scomposti/
brillano due occhi allucinati”
Parlava forse dei miei occhi spaventati che temevano qualche reazione micidiale dai composti cinesi chimici e criminali? Niente di tutto ciò. Dunque, alla prima occasione, affiderò di nuovo la testa a un paio di mani orientali, e a fine processo, me ne andrò via salutando a voce alta: “Xie xie!”. Non conosco altri modi per dire grazie, ma indubbiamente so che questo basterà.