C’erano ancora le stelle. La bambina dai capelli di rame era pronta. Lo zaino in spalla, il grembiule nero. L’uomo le sorrise alzò la mano per darle un buffetto sulla guancia. Rinunciò. Si trovavano al quinto piano, uscirono dall’appartamento, la bambina canticchiò tutto il tempo che aspettarono e dentro l’ascensore. Scesero al piano terra. L’uomo voleva prenderle la mano e magari, per un attimo, chiuderla nelle sue come in un panino ma non lo fece. Si diressero verso una fila di porte, lui razzolò in tasca dove trovò le chiavi, riconobbe dal cerchietto verde quella del ripostiglio, aprì. Voleva baciare la bambina sulla fronte ma si distrasse guardando un ragno sul muro. Comportati bene. Disse. Non abbiamo bisogno di una mamma. Fu la risposta. La chiuse dentro. Tirò fuori dalla tasca della camicia il telecomando rosa e pigiò off. Rimase appoggiato con la schiena alla porta. Un certo senso di colpa l’aveva messo in conto senza crederci sul serio.
Il palazzo disabitato era muto e buio.
Tornò in casa.
Doveva solo non dimenticare le circostanze.
Le grandi finestre erano ancora stellate, attivò la modalità alba veloce e mattino. Dal rosa al sole chiaro. Selezionò una giornata di pioggia. Ideale per lavorare. Prese la scatola delle compresse da colazione e accese il diffusore di aromi. Inghiottì prima un caffè poi una brioche senza farcitura. Sfogliò un giornale on-line. La sveglia delle 9 l’avvertì che era ora di lavorare. Seduto davanti allo schermo alzò le braccia, le allungò verso l’alto muovendo le dita come se volesse una mela attaccata al soffitto. Tese le gambe e drizzò al massimo i piedi, a destra l’alluce valgo dette una fitta. Sullo schermo apparve il progetto dell’albergo a minimo impiego umano al quale stava lavorando. L’assistente virtuale disse “bentornato”.
Stava bene. Era circondato da creature a cui mancava il software del tradimento. Soddisfatto della solitudine riempita. L’unico contatto con un essere vivente lo aveva il sabato quando alle 20 e 00 un ragazzo gli portava un piatto di spaghetti al ragù. Ragù napoletano d.o.c.. L’unico pasto senza compresse.
Anche una bottiglia di rosso.
Ogni sabato quando suonava il campanello, lui si affacciava a pagare. Era un essere umano quello. Gli sembrava almeno.
Alle 11.00 accese la gatta rossa. Gli saltò sulle ginocchia. Gli piaceva quando faceva le fusa. Attivò la funzione.
Niente veterinario, vaccini, calore.
Lettiera puzzolente.
Niente… madre, pediatra, crisi ormonali.
Trasformazioni imbarazzanti di crescita.
Aveva visto coppie di amici per anni indaffarate a portare e riprendere figli, tra un lavorare e l’altro, poi d’improvviso i figli sparivano e loro erano diventati vecchi. D’improvviso soli.
Traditi gli pareva.
I suoi cari erano perfetti.
Oltre il tempo. Oltre una sana alimentazione.
Disciplinò il pensiero e lavorò convinto. La sveglia di mezzogiorno lo sorprese. Era ora di apparecchiare. Accese il diffusore in modalità pollo arrosto con rosmarino. Mise due piattini sul tavolo e le scatole con le pillole colorate. Bevve un bicchiere di acqua anzi due, poi uscì per andare a prendere la bambina. Scese al piano terra e prima di entrare nello sgabuzzino attivò la modalità on del telecomando rosa. Teneva ferma la chiave in mano ma non riusciva a centrare il buco della serratura. Appoggiò la fronte allo stipite prima di tentare di nuovo. Ci riuscì. La bambina apparve sorridente. Ciao papà, gli disse e lui rispose come fanno gli adulti. Poi allungò la mano dalle dita pelose verso i capelli di rame ma si fermò, piegò il labbro inferiore ci ripensò e sistemò in tasca qualcosa.
Che profumino papà! Hai fatto il pollo arrosto con tanto rosmarino è vero? Lo disse come tutte le bambine. Poi si mise a canticchiare giocando con le compresse colorate.
Aveva dita senza imperfezioni.
Lui ne inghiottì una di carboidrati, una di proteine e per ultima quella di vitamine che quando rutteggiava gli rimandava il gusto di limone.
Non cambiò aroma per tutta la durata del pasto. Credeva che davvero piacesse alla bambina.
Noi non abbiamo bisogno di una mamma. Senti che profumino!
La bambina era stata programmata per dirlo, era la conseguenza di certe frasi che nominavano affetto, cibo, panni da sistemare.
Non gli piaceva più che lo dicesse. Doveva essere educata meglio.
Non poteva essere educata.
Programmata.
Sorrise … programmata.
Dopo una compressa di caffè amaro, decise che non pioveva più e sistemò il sole alle finestre in modalità pomeriggio. Era l’ora della passeggiata. La bambina nell’altra stanza girava intorno al tavolo seguendo la coda della gatta. La chiamò, lei sorrise, lui sapeva che quella era l’ora in cui stava meglio, uno stato simile alla felicità di una volta. Nella stanza del fuori, come l’aveva battezzata, accese l’impianto e scelse un bosco autunnale, un bosco di faggi. Un tappeto di foglie. Attivò i suoni: fruscii, richiami di uccelli, ghiandaie per la precisione. L’urlo di una volpe.
Aveva la bambina accanto a sé, lei si guardava intorno e di tanto in tanto esclamava qualcosa.
Mia figlia… disse ad alta voce.
Era perfetto il suo tempo privato. Sdraiato sul lettino guardava il panorama scorrere al ritmo di un passo lesto. Attivò un po’ di brezza. La bambina chiese un quaderno per conservare le foglie. Una ghiandaia dalle ali azzurre si posò accanto a lui, la accarezzò sul capo.
Strano che si lasci accarezzare… disse a voce alta.
Quando decise di tornare spense la stanza del fuori e si sedette al computer. La gatta che era sempre in modalità fusa lo guardava dalla mensola.
Strano micia che tu sia ancora dove ti ho lasciata…
Papà giochi con me adesso è vero? Noi non abbiamo bisogno di una mamma.
Ti prego… Lidia non lo dire più.
Non l’aveva mai chiamata con un nome.
Papà… giochiamo alle signore?
Avevano diverse possibilità per giocare.
Certo tesoro mio… Allungò la mano e le accarezzò i capelli.
Non l’aveva mai accarezzata.
Ecco papà, ho apparecchiato.
Si sedettero al tavolinetto rosso, un uomo con le ginocchia tanto piegate da toccarsi il mento, una bimba e una bambola con un cappelluccio a fiori.
Assaggia papà… Disse la bambina dagli occhi verdi porgendogli la scodella con le uova di plastica fritte.
Grazie tesoro mio. Lui rispose.
L’uomo seduto al tavolo non riusciva a mordere le pietanze che aveva nel piatto le fece a piccoli pezzi con le forbici e li inghiottì come fossero compresse colorate. Prima di farlo però accese il diffusore in modalità pollo arrosto con rosmarino.
Era il preferito di sua figlia Lidia.