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Intervista. Claudia Riccardi

INTERVISTA DI IRENE CLAUDIA RICCARDI

Nato nel 1955 in Brasile, nella città di Niteròi, ha lasciato il suo paese nel 1994 per andare a insegnare letteratura brasiliana presso l’Universidade Nova de Lisboa. Di lì, per amore di una donna italiana, è approdato in Italia. Oggi vive e lavora a Lucca. Oltre che fondatore e insegnante della scuola di scrittura creativa “Sagarana” – che ha un sito molto interessante e molto visitato (www.sagarana.net) – Monteiro Martins insegna Lingua portoghese e Traduzione letteraria presso l’Università di Pisa. Scrittore precocissimo (a undici anni firma le sue prime poesie, a quindici racconti e romanzi), pubblica il suo primo libro (“Torpalium”) a diciannove anni. Nel suo paese d’origine sono ben nove le opere pubblicate prima che, negli anni ’80, si produca una frattura e cominci per lo scrittore un periodo difficile. Le case editrici ignorano il suo lavoro, da una parte per mancanza di interesse generale verso la nuova letteratura brasiliana e dall’altra a causa di un processo che Monteiro Martins ha intentato contro un regista di prestigio che gli ha “rubato” un testo. Monteiro Martins finisce su una “lista nera” e non trova più spazio. Per non rinunciare alla letteratura – per lui irrinunciabile (“non sono io che ho scelto la letteratura, ma è la letteratura ad avere scelto me”) – decide di andarsene, di prendere il largo. Dal 1979, alla sua attività di scrittore ha affiancato quella di insegnante di scrittura creativa: in Brasile, negli Stati Uniti, in Italia. E proprio questa attenzione continua alla scrittura, ai meccanismi che presiedono la nascita e la creazione del romanzo, hanno condotto Julio Monteiro Martins al suo ultimo romanzo: “madrelingua”, recentemente uscito presso la casa editrice Besa.

Parlaci della tua ultima opera, “madrelingua”, volutamente scritto con l’iniziale minuscola.

J.M.M. Sì, la minuscola risponde a una scelta precisa: la madrelingua è qualcosa di così intimo, così privato, che non c’era bisogno della lettera maiuscola.

La genesi di questo romanzo affonda le proprie radici nel fatto che sono uno che riflette molto sulla scrittura: insegno scrittura creativa da ventisei anni e sono un teorico della narratologia. E infatti si può dire che l’argomento di questo romanzo sia il romanzo stesso. Tante volte, anche con i miei allievi, mi capita di confrontarmi e discutere sull’adeguatezza del romanzo ai nostri tempi. Certo non ha più il senso e l’aderenza al sentire comune che aveva il grande romanzo Ottocentesco. Attraverso i grandi cambiamenti che ha subito nel Novecento (l’introduzione del flusso di coscienza, con Proust e Joyce così come la dimensione magica dei grandi romanzi latinoamericani), oggi il romanzo è sempre più frammentato. E in “madrelingua” – che è una sorta di “parco divertimenti” della narrativa – ho proposto la mia personale visione, che è tutt’altro che certa e monolitica. E infatti, nel libro, il narratore, alla fine, cambia, i personaggi, a un tratto, scompaiono e ne entrano in gioco altri. La struttura narrativa varia continuamente, in una sorta di gioco, di divertissement. Addirittura, a un certo punto, il romanzo si ferma e entra con forza la voce del narratore e dell’autore, che blocca tutto e si interroga: “Qui bisogna fermare. Non vedi che la trama non funziona?”. C’è molta ironia, allegria, voglia di giocare e, secondo me, tutta questa allegria arriva al lettore. Sono uno scrittore che crede molto nella sensibilità dei lettori. Altri, invece, li sottovalutano, non credendo che il pubblico percepisca se un romanzo è scritto con sforzo, con fatica. Io invece sono convinto che lo scrivere abbia una dimensione ludica e il lettore lo avverta. Magari, ancora prima di capirlo, lo sente, coglie se l’autore ha scritto con naturalezza, senza sforzo, senza obblighi e, di conseguenza, legge il libro con la stessa scioltezza, con lo stesso fluire.

Possiamo dire che “madrelingua” contiene la tua visione della letteratura, del romanzo?

J.M.M. Io non ho la pretesa di offrire certezze, la mia visione del mondo non è certa, perché io stesso sono frutto di un caos ontologico. Posso dire che certamente il mio libro riflette questa mia frammentazione, le mie numerose visioni e i miei diversi punti di vista.

Come vieni “considerato” dagli scrittori italiani e dai critici, dagli intellettuali, insomma? Ti senti “ghettizzato”, racchiuso nella gabbia del genere “scrittore migrante”?

J.M.M. In base alla mia esperienza ho osservato che l’atteggiamento di scrittori e critici italiani è molto simile a quello dell’italiano comune di fronte allo straniero: un misto di xenofobia e, nel contempo, di forte attrazione. Nell’ambiente culturale c’è il medesimo modo di porsi verso gli scrittori non italiani che scrivono in italiano: da una parte gli autori italiani ostentano un certo risentimento per il fatto di non essere stranieri e dall’altra provano una malcelata ammirazione. Quello degli scrittori migranti viene considerato un universo a parte, totalmente ignorato, nemmeno ghettizzato, perché questo significherebbe comunque dimostrare un’attenzione e relegare una certa letteratura in una nicchia. No! E’ ancora peggio! C’è una sorta di ignoranza reciproca voluta tra i due universi: scrittori migranti/scrittori italiani e critica.

Probabilmente la critica italiana è ancora provinciale…

J.M.M. Più che provinciale!… è ancora manzoniana, conservatrice. Ed è incapace di cogliere e di prendere atto di un accadimento straordinario: la fioritura meravigliosa delle opere di scrittori di origine straniera. Come si può non rendersi conto che siamo di fronte a un fenomeno prodigioso. Gli stranieri che oggi scrivono in italiano non sono “figli” delle colonie di questo paese (come molti scrittori, anche illustri, che scrivono in inglese e in francese). Qui non si tratta di letteratura post-coloniale ma di una letteratura nata “per amore” della lingua italiana. Le donne e gli uomini che hanno scelto di scrivere in questa lingua che non è la loro lingua madre, hanno imparato l’italiano qui, per amore. Eppure, il sistema editoriale di questo paese non ha ancora capito che varrebbe la pena investire su questi autori e che stanno perdendo l’occasione di cogliere questa fioritura miracolosa, un’inedita manifestazione collettiva della nuova letteratura mondiale, che solo qui, in Italia, è avvenuta.

Intervista rilasciata telefonicamente il 10 marzo 2005 – su el-ghibli

L'autore

El Ghibli

El Ghibli è un vento che soffia dal deserto, caldo e secco. E' il vento dei nomadi, del viaggio e della migranza, il vento che accompagna e asciuga la parola errante. La parola impalpabile e vorticante, che è ovunque e da nessuna parte, parola di tutti e di nessuno, parola contaminata e condivisa.