Ubah Cristina Ali Farah, scrittrice italosomala, ha pubblicato per la giovane casa editrice milanese Juxta Press, specializzata nella divulgazione di libri d’arte, il suo nuovo racconto intitolato La danza dell’orice [1].
In meno di cinquanta pagine l’autrice presenta l’avventura di un vecchio zio senza nome, che sarà la voce narrante della storia, e della sua giovane nipote, Shaqlan, che sin da bambina viene educata all’arte della guerra. I due personaggi sono in fuga nel deserto con i loro cavalli, cercando di sopravvivere al caldo e alla fame, perché scappano dalla loro stessa gente che li accusa di essere dei traditori. Attraversare il deserto è un’impresa ardua, in quanto significa rischiare la vita. Incontrano un orice, un animale difficile da cacciare, che mette solitamente alla prova le destrezze degli uomini, come ricorda lo zio alla nipote attraverso una vecchia leggenda: “[…]: due asini esasperati dalla crudeltà del padrone erano fuggiti dal recinto ma, quando era arrivata la stagione secca, mentre uno aveva preferito tornare schiavo pur di sopravvivere, l’altro aveva scelto la libertà. Si dice che il padrone lo ritrovò in una radura verdeggiante e che, da quell’asino che scelse di rischiare la propria vita, discendano gli orici.” [2]
Nella notte i due guerrieri trovano rifugio in un villaggio di Jinni, antichi spiriti molto suscettibili che non vogliono essere mai contraddetti. Nei giorni successivi cercano di raggiungere la costa, dove incontrano un impresario che li convince a imbarcarsi verso terre lontane per partecipare a una grande esposizione universale, dove dovranno esibirsi davanti a un pubblico pagante. Durante il viaggio in nave i due conoscono Diamantis, giovane uomo che fa parte dell’equipaggio e che, una volta sbarcati, li convincerà a iniziare una nuova vita nel circo della sua famiglia.
Questo racconto di Ubah Cristina Ali Farah contiene delle affinità rispetto alla sua scrittura precedente, ma anche dei tratti inediti. Le prime si possono ritrovare nell’uso di un linguaggio ricercato che aiuta a creare un’atmosfera quasi onirica, arricchita da descrizioni preziose, seppur brevi, dei personaggi e dei paesaggi. Anche dal punto di vista tematico si rileva una continuità nella scelta della protagonista: infatti pure in questo racconto è una donna che, a un certo punto della sua vita, viene abbandonata dalla madre e affidata alle cure dello zio materno, dal quale viene educata a diventare un’abile guerriera, che combatte per la vittoria del suo popolo contro un nemico invisibile. Il ritratto che emerge della protagonista è quello di una combattente forte e volitiva, ma essendo donna deve nascondere la propria identità, e soprattutto i suoi sentimenti, per dimostrare di saper combattere come gli uomini e di non essere mai inferiore a loro.
Tra gli elementi originali che contraddistinguono questa nuova scrittura dell’autrice c’è la geografia, che in questo testo è imprecisata: infatti non viene citata né la Somalia, anche se molti riferimenti richiamano e si ricollegano al contesto somalo e alla sua cultura, né qualsiasi altro paese o città. Inoltre la vicenda non può essere collocata neppure in un tempo definito in quanto il racconto è privo di qualsiasi indicazione cronologica precisa. È comunque molto interessante, in questo quadro temporale indefinito, come l’autrice inserisca il tema delle esposizioni universali che, a cavallo tra Ottocento e Novecento, mettevano in mostra le numerose diversità antropologiche che gli esploratori stavano scoprendo durante i loro avventurosi viaggi nei continenti colonizzati. Dall’esperienza delle esposizioni si giunge a quella circense, l’ambiente nomade per eccellenza, dove Shaqlan e suo zio arrivano grazie all’amore che nasce tra la guerriera e Diamantis. Il mondo del circo altro non è che un ulteriore riferimento alla vita nomade, alla quale i due personaggi sembrano essere condannati sin dalla prima pagina del racconto, nella quale li troviamo in fuga nel deserto. Nella conclusione della storia invece l’opportunità di un nuovo nomadismo sembra aprire, per l’ennesima volta, le loro esistenze a inedite strade da percorrere e a incontri originali.
La lettura di questa nuova opera di Ubah Cristina Ali Farah si assapora tutta d’un fiato per due ragioni: la prima è dovuta alla lunga assenza della scrittrice dal mercato editoriale, mentre la seconda al desiderio di voler continuare la storia di Shaqlan e voler trasformare questo racconto lungo in un romanzo breve, anche se le parole del vecchio zio fanno già presagire il finale della storia: “Ecco Diamantis, questo è il segreto che ci lega. Siamo stati costretti a fuggire, ad abbandonare il nostro destino di guerrieri, eppure Shaqlan, mia nipote, ti ha scelto. Ora lo sai.” [3]
[1][1] Ubah Cristina Ali Farah, nata a Verona nel 1973 da padre somalo e da madre italiana, è vissuta in Somalia dal 1976 al 1991, quando è stata costretta a fuggire in seguito allo scoppio della guerra civile. Ha vissuto in Ungheria e in Italia. Da alcuni anni vive in Belgio. Si è occupata di migrazione e di educazione interculturale. A queste attività ha affiancato quella di scrittrice e poetessa, collaborando anche con diverse riviste. Alcune sue poesie sono inserite nella raccolta Ai confini del verso. Poesia della migrazione in italiano pubblicata nel 2006 dall’editore Le Lettere. Il suo primo romanzo Madre Piccola, pubblicato da Frassinelli, risale invece al 2007. Il suo lavoro più recente è Il comandante del fiume pubblicato nel 2014 dalla casa editrice 66th and 2nd.
[2] Ubah Cristina Ali Farah, La danza dell’orice, Juxta Press, Milano, 2020, pp. 8-9.
[3] Ubah Cristina Ali Farah, La danza dell’orice, cit., p. 48.
17-12-2020