Narrativa transnazionale

VENTIMILA VIVENTI SOTTO IL MARE DI SICILIA

ROCCE, GROTTE E CALE
“Magda…”
“Mamà… che c’è?”
“Magda, non portare la mia bambina e il mio bambino nella cala rocciosa dietro alla casa di nonno.”
“Mamà… la tua bambina e il tuo bambino ci vanno senza di me, alla cala rocciosa.”
“Magda, non mentire. Devi invogliare i tuoi fratellini a fare i compiti.”
“Magda, devi, devi… tutti i giorni. Mamà, non porto la tua bambina e il tuo bambino sugli scogli e
neppure alla spiaggia dei Conigli… Papà, dì almeno qualcosa alla mamma.”
Papà sta preparando gli attrezzi da giardiniere dilettante. Senza togliersi di bocca la pipa spenta, e
senza staccare gli occhi dagli attrezzi che ripulisce con il coltello da marinaio, mugugna a mamma
con la sua voce resa rauca dal tabacco:
“Rosalia, i tuoi due bambini scappano da soli nella cala dietro alla casa di mio padre, quando non
sei in casa.”
“Placido, i miei bambini passano tutta la giornata a tuffarsi e a nuotare mentre io sono al lavoro. Lì
ci sono troppe rocce e grotte pericolose, ma tu non intervieni.”
“Rosalia, è estate, non c’è scuola e vivono su un’isola. Vanno al mare, è normale. Se passano la
giornata in acqua, è perché fa troppo caldo. Rosalia, sono marinaio e figlio di marinaio. Tutti i miei
figli nuotano come delfini.”
Capitan Rex, il grosso e inseparabile cane di papà, vuole giocare con me. Mi fa sempre perdere
l’equilibrio e, quando finisco a terra, mi dà una leccatina in faccia. Questa mattina mi sento offesa
da mamma e non voglio giocare col cane. Però Capitan Rex insiste, stamattina sembra non voler
giocare. Mi spinge col muso verso la casa di nonno Carmelo. Il cane di papà, spesso silenzioso,
questa mattina abbaia e abbaia verso di me ma non mi smuove. Si avvicina a papà. Lo spinge
invano verso la casa del nonno, mentre papà si rimette il cappello per proteggersi dal sole, allaccia
gli scarponi, prende i guanti. Dopo, come ogni mattina, va prima di tutto in giardino a occuparsi dei
limoni e delle acacie.
Nel giardino ci sono altre piante con nomi complicati che riempiono la casa di gradevoli aromi.
Papà accende la pipa e inizia a impestare i gradevoli aromi del cortile con l’odore nauseante del suo
tabacco. Un giorno avevo provato qualche tiro dalla pipa appoggiata per un attimo vicino alla
cuccia del cane, mentre papà e Capitan Rex erano in giardino. Avevo fatto grandi tiri molto in fretta
e mi ero riempita i polmoni di fumo. Avevo subito tossito come una matta, quel giorno credetti di
avere la broncopolmonite e di morire soffocata. Ero scappata tossendo verso il lato opposto del
giardino vicino a casa di nonno Carmelo, per non farmi scoprire da papà. I miei occhi erano rossi e
tutta la mattina avevo avuto la nausea. Nonno Carmelo ora ha smesso di fumare la pipa per la sua
salute ma fuma le sigarette di nascosto, perché papà si arrabbia quando lo vede. Anche mamma
fuma, ma papà non è contento quando la vede con la sigaretta.
“Rosalia, sei sempre con la sigaretta accesa. Rosalia, fumi sempre, fumi troppo”, protesta papà con
la sua voce rauca, tenendo la pipa accesa o spenta in bocca o in mano. Le sigarettine di mamma
puzzano meno del tabacco di papà. Mamma fuma tanto, ma per fortuna la sua voce non è ancora
rauca.
Stamattina mamma continua a parlare e a fumare le sue sigarettine. Mamma parla di più quando fa
caldo. Parla, parla e fuma mentre rassetta, sorride, canticchia. Apre e chiude il frigorifero per
verificare cosa c’è, cosa manca in casa, cosa c’è da comprare. Spegne la sigaretta ma parla, parla
con me, parla da sola, mentre si cambia e si riveste per recarsi al lavoro al Municipio in via Grecale.
Spesso, mentre parla mamma, mi metto le cuffie e ascolto la musica sullo smartphone o sul tablet,
regalo di papà e nonno Carmelo al mio quattordicesimo compleanno. Il tablet lo posso far usare ai
miei fratellini, ma lo smartphone non lo devono neanche sfiorare. Nonno Carmelo era marinaio e lo
chiama strumento di navigazione terrestre senza fili né antenne. Nonno è curioso di sapere che
genere di musica ascolto sul tablet, con le cuffie sempre incollate alle orecchie. Quando gli allungo
le cuffie e gli dico di provare a mettersele, nonno Carmelo scosta la testa come per evitare un
volatile aggressivo.
“Come si fa a ascoltare la musica con questo piccolo strumento che non tiene fili e non tiene un
disco dentro?”, mi chiede con una risata nonno Carmelo. Quando nonno ricorda episodi della
gioventù di mio padre, gli occhi verdi gli sfavillano.
“Quando tuo padre era giovane e insieme agli amici ascoltavano il rock and roll a tutto volume qui
dentro, nonna e io gli ripetevamo invano di abbassare il volume. A noi non piaceva quella musica di
tuo padre che ti bucava i timpani. Mentre tu e i tuoi amici avete sempre questi tappi nelle orecchie e
nessuno sa che genere di musica ascoltiate. Non date fastidio a nessuno, ma non ascoltate la musica
insieme.
SANTA ROSALIA
“Magda…”
“Mamà, che c’è?”
“La mia bambina e il mio bambino…”
Tindara, tredici anni, e Pietro, undici anni, sono la sua bambina e il suo bambino. Sono sua figlia
anch’io, ma per mamma sono soltanto Magda… e sono grande abbastanza, dice mamma, per badare
a Tindara e a Pietro quando lei non c’è. Però mamma mi fa badare ai fratellini anche quando è in
casa.
“Magda, Magda…”, di qua e di là, con il suo sorriso o con il suo broncio da mamma e con la sua
voce a volte dolce o autoritaria. “Magda, dove sono Tindara e Pietro?”, quando faccio i compiti.
“Magda, cerca i tuoi fratellini”, se voglio riposare, giocare o siamo a spasso. “Magda, cura i
bambini”, mentre sono a tavola.
Santa Rosalia… penso ogni tanto tra me e me, per non arrabbiarmi. Ma non penso a mamma che si
chiama Rosalia però non c’entra con nessuna santa. Mia mamma, Rosalia Miriam, fuma le sue
sigarettine, spettegola insieme alle amiche in giardino, e non prega. Penso a Santa Rosalia, quella
vera, a cui si rivolge nonno Carmelo.
“Rosalia, lascia mangiare in pace la picciridda. Magda di qui, sempre Magda… per Santa Rosalia di
Palermo”, interviene ogni tanto nonno Carmelo, senza scomporsi, quando si mette a tavola con noi.
Nonno preferisce starsene a casa sua a mangiucchiare da solo.
“Magda…”
“Mamà… che c’è?”
“Magda, mi devi sempre raccontare cosa combinano Tindara e Pietro.”
“Mamà sei logorroica”, rispondo con cipiglio. Mamma sta finendo di vestirsi e io sto ammirando la
sua borsa nuova.
“Magda…ti piacciono le mie scarpe nuove?”
“Non mi piacciono”, dico sorridendo. “Sono fuori moda.”
“Non capisci niente di scarpe.”
“Mi piace la tua nuova borsa.”
“Non te la presterò”, ride mamma.
“La userò senza il tuo permesso”, rido anch’io.
Mamma ha acceso una sigarettina e fra poco sarà fuori casa con le scarpe nuove che non mi
piacciono e la borsa che userò. La borsa nuova mi piace troppo. Come ogni mattina, andrà a passo
veloce verso il Municipio in via Grecale. Mamma è nata qui a Lampedusa, ma è di origine berbera.
“Magda…”
“Mamà che c’è?”
“Sono amazigh! Non berbera.”
Il padre di mamma veniva da qualche parte dell’Algeria e ha sposato mia nonna materna, che
veniva, lei, da qualche altra parte della Sicilia. Dovrei richiedere a mamma e segnare bene nella
rubrica del tablet le città d’origine dei miei nonni materni. Ora mi ricordo, mamma dice che suo
padre era nato nella città natale di Sant’Agostino, naturalmente secoli e secoli dopo. Questa città la
posso ritrovare sul tablet. Papà è nato a Lampedusa. Il peschereccio su cui lavorava nonno Carmelo,
quand’era giovane e aveva tutti i denti, aveva attraccato qui al porto. Un giorno nonno, che ci
vedeva ancora molto bene, ha visto una bella ragazza a passeggio con le amiche. Il giovane e
sorridente Carmelo di Palermo è saltato a terra e non ha esitato ad attaccare bottone con la giovane e
bella ragazza di Lampedusa.
“Magda…”, mi diceva la nonna, anche lei mi chiamava così. “Magda, ho respinto le lusinghe di tuo
nonno. Ma il testardo giovane Carmelo non è risalito sul peschereccio. È rimasto a Lampedusa per
me. Ci sono voluti mesi e mesi di corteggiamenti, ha cercato di conquistare le simpatie delle mie
amiche e dei miei genitori, prima che io accettassi di diventare sua moglie.”
MARE DI SICILIA
Mamma sorride più a me che a Tindara e a Pietro. Mamma ha un sorriso speciale per me. Il suo
sorriso è una tenera coccola per il mio cuore. Quando lei e io rimaniamo sole, quando l’aiuto un po’
in cucina, quando Tindara e Pietro sono distratti, io non smetto di chiederle: “Chi è la tua preferita?”
Mamma risponde:
“Magda, tu sei la mia preferita. Ma è il nostro segreto, mi raccomando, non ti vantare con i
fratellini.”
Qualche volta mi sono vantata e ho detto loro che sono la preferita di mia mamma Rosalia Cannuli,
perché mi importunavano mentre facevo i compiti delle vacanze e litigavano per giocare con il mio
tablet. Pietro ha chiesto a mamma se avevo detto la verità. Ho replicato:
“Mamà, non volevo svelare il nostro segreto. Mi è sfuggito. La prossima volta terrò la bocca
chiusa.”
Mamma sa che non è vero, è che volevo vantarmi con i fratellini. Se mi importuneranno ancora, mi
vanterò di nuovo di essere la preferita di mamma. Dopo dirò a mamma che mi è sfuggito il nostro
segreto. Mamma non ci crederà, ma non me n’importerà niente, tanto non è più un segreto.
“Tindara e Pietro vanno da soli sugli scogli, mamma finge di non saperlo”, mi dice papà con la sua
voce rauca. Poi aggiunge con occhi lucidi:
“Magdalena, quando si entra in casa di nonno Carmelo e si apre una finestra qualsiasi, si spalanca
l’immensità del Mare di Sicilia, si rimane incantati dalla sua bellezza. Magdalena, appena ti affacci
alla finestra sei piena di ammirazione per questi scogli che resistono agli umori delle onde. Sono
onde tranquille o arrabbiate, dipende da come si alleano con i venti. Ci sono tanti profumi, intendo
del Mare di Sicilia, profumi buoni da respirare, a volte ci sono anche odori cattivi, ma per un
marinaio come me poco importa.”
Mio papà esagera quando descrive il suo Mare di Sicilia o le sue mitiche avventure insieme a
Capitan Rex, al timone del suo peschereccio. Perché tutta la sua vita e la sua storia, e quelle di
nonno Carmelo, sono legate all’immensità e ai misteri del Mare di Sicilia e del resto del Mare
Mediterraneo. Il padre di papà, nonno Carmelo, esagera più di mio padre quando ci racconta le sue
avventure nel Mare di Sicilia. Aggiunge sempre che di notte, quando il tempo è sereno, dalle
finestre aperte il suo occhio da vecchio marinaio non vede soltanto battelli illuminati a giorno, ma
riconosce facilmente le tartarughe che nuotano verso l’isola dei Conigli e magari gli capita di
scorgere famiglie di balene che riemergono quasi sotto le finestre. Non so come fa nonno a vedere
tutto ciò di notte. Ma so che ci vede male quando il tempo è sereno, di giorno.
Mio papà da qualche mese è restio ad armare il peschereccio e salpare al largo, insieme
all’inseparabile Capitan Rex e ai compagni marinai. Quanto a mamma, il mare non l’attira tanto.
“Troppi naufragi, troppi morti, troppi cadaveri nel Mare di Sicilia”, dice.
Lei non ci andava neanche prima, al mare, e diceva convinta: “Troppe grotte, troppa profondità,
troppe onde, troppi pericoli…nel Mare di Sicilia.”
Quando non è al lavoro e ha finito di cucinare per tutta la famiglia, lavato i piatti, fatto il bucato,
steso i panni, badato ai suoi bambini, a mamma rimarrebbe solo il tempo di stare un po’ in giardino,
con qualche amica, a parlare, a fumare le loro sigarettine.
Gli impiccioni ripetono fino alla noia che noi famiglia Ilacqua abbiamo qualche antenato biondo
dagli occhi verdi, sbarcato in Sicilia secoli fa dai mari del nord. Ho curiosato sul tablet le immagini
di ragazze e uomini della Scandinavia, e tanti di loro hanno dei lineamenti più o meno simili a
nonno, papà, Tindara e me. Però io ho gli occhi grandi come quelli di Amélie, quell’attrice del mio
film francese preferito che ho visto tante volte, anche dal tablet. Però sono magra e alta e i miei
grandi occhi sono verdi. Mentre Pietro è un po’ grassottello e ha preso molto dai lineamenti arabi di
mamma.
“Magda…”
“Mamà, che c’è?”
“Non sono araba.”
“Mamà lo so, sei berbera.”
“Sono amazigh.”
Mia mamma è convinta che siciliani, sardi, spagnoli, portoghesi, marocchini, tunisini, libici,
algerini, cretesi, maltesi, marsigliesi, arabi, corsi… siano meticciati con gli amazigh.
“Porto il cognome di mia mamma, ma mio padre era amazigh. Aveva i capelli quasi biondi.”
“Si lo so… tuo padre era nato a Tagaste, in Algeria, ora si chiama Souk Ahras ed è la città dove
nacque Sant’Agostino…”
“Magda… mia madre è siciliana e ha ancora i capelli lunghi, neri. Il mio secondo nome è Miriam.
Tutto questo miscuglio fa di me un tipico prodotto del Mediterraneo. Anche tu sei amazigh.”
Io non sono amazigh, sono solo siciliana, senza tutte queste complicazioni.
NELLA CASA DEL NONNO
Oggi pomeriggio, mentre mamma era al lavoro in Comune, ho visto Tindara e Pietro entrare in casa
di nonno Carmelo. Hanno aperto una finestra, l’hanno scavalcata e sono saltati giù verso gli scogli.
Ho aspettato un istante, sono entrata dopo di loro e ho percepito un silenzio troppo strano. La casa
di nonno Carmelo era vuota, ma per un attimo ho avuto la sensazione sgradevole di essere osservata
da occhi invisibili. Ho riaperto in fretta la finestra e sono saltata giù dall’altra parte. Li ho seguiti
mentre scendevano sugli scogli senza farmi notare, per tenerli d’occhio, perché non si sa mai
quando possano aver bisogno di aiuto. Loro non vogliono essere sorvegliati. Ho messo le cuffiette
per ascoltare la musica dallo smartphone e per dimenticare la sensazione sgradevole percepita in
casa del nonno.
Anche a me piace tuffarmi dagli scogli, ma non coi fratellini. Vengono le mie amiche e i miei amici
e ci tuffiamo e nuotiamo insieme, senza essere sorvegliati da nessuno.
“Tindara e Pietro sono figli e nipoti di marinaio. Voi siete bravi a nuotare. Siete i miei delfini”, dice
papà tutto orgoglioso. Pure papà li segue discretamente e li tiene bene d’occhio quando scendono
dagli scogli, si tuffano e raggiungono una caletta a nuoto.
Nonno Carmelo mi ripeteva spesso, senza scomporsi, mentre accendeva una sigaretta e facendomi
promettere di non dire ai miei genitori che l’avevo visto fumare:
“Magdalena, voglio bene a Tindara e Pietro, voglio anche bene a te, ma i due picciriddi sono come
l’erba secca e il fiammifero, oh Santa Rosalia, lasciano terra bruciata al loro passaggio.
“Magdalena, tu sei l’erba verde”, dice nonno Carmelo, “ma quando s’infiammano, le erbe secche
riescono a bruciare l’erba umida come te.”
A me piace ascoltare nonno Carmelo, mi fa tanti complimenti. Nonno mi ripeteva:
“Magdalena, non ti lasciare coinvolgere dagli intrallazzi dei due picciriddi. Magdalena, a te piace
studiare, non ti lasciare troppo distrarre da Tindara e Pietro che amano poco studiare. Pietro è
masculo, un giorno potrà diventare marinaio o pescatore come me o come tuo papà Placido.
Abbiamo il peschereccio di famiglia su cui papà Placido non vuole più salpare, non vuole più
andarci a pescare. Troppi cadaveri al largo. Troppi cadaveri di migranti in mezzo ai pesci ha visto
papà nel Mare Mediterraneo. Tindara è una bambina con un carattere forte, ma la fimmina marinaia
e pescatrice non c’è ancora stata nelle nostre famiglie. Armare il peschereccio e affrontare il
Mediterraneo di notte, di giorno, con il bello e il cattivo tempo, non è mestiere da picciridda.”
Prima di uscire di casa per la sua passeggiata mattutina, nonno Carmelo alza gli occhi verso il cielo
per indagare il tempo, annusa la direzione dei venti e riesce più o meno a prevedere le condizioni
atmosferiche della giornata. Più o meno. Perché ogni tanto sbaglia le previsioni del tempo. Ho detto
a nonno che il mio tablet dà delle previsioni molto più affidabili dei suoi occhi e del suo naso.
Nonno non ci crede, si fida di più del proprio fiuto da vecchio marinaio.
Oggi pomeriggio mi distraggo a chattare con le mie amiche e perdo di vista Tindara e Pietro, andati
sugli scogli, ma penso che non avranno bisogno di aiuto. Posso stare tranquilla, perché papà dice
sempre:
“Sono i miei delfini…”
I due delfini di papà preferiscono divertirsi, senza avere addosso gli occhi della sorella maggiore.
PRESENZE INATTESE
Però nel pomeriggio, quando Tindara e Pietro ritornano dal mare scavalcando la finestra di nonno
Carmelo, sono insieme a un bambino e a una bambina, più o meno della loro età, che non ho mai
visto. Sono due bambini magri, con magliette e pantaloncini bagnati e laceri, sorridono, sembrano
felici di essere nella casa di nonno Carmelo insieme a Tindara e a Pietro, che indossano dei costumi
da bagno belli e colorati. C’è pure nonno Carmelo. Nonno era andato in visita dai parenti a Palermo,
e non sapevo che fosse già ritornato a Lampedusa. Neanche Tindara e Pietro sapevano del ritorno
anticipato di nonno.
Quando ci porta insieme a lui a Palermo, i suoi parenti sono felici di accoglierci, e non vogliono più
lasciarci ritornare a Lampedusa.
Questo pomeriggio, io mi sono nascosta dietro la finestra e i fratellini e nonno non si sono accorti di
me. Mentre li spio, sento Pietro dire:
“Nonno, con questa bambina e con questo bambino, io non c’entro. Sono stati ripescati in fondo al
mare da Tindara che si è tuffata dagli scogli. Tindara ha detto di nasconderli in casa tua mentre tu
eri a Palermo e quando vai dai parenti ci rimani sempre a lungo. Ce ne sono altri…”
“Ce ne sono altri!?”
“Sì nonno, altri.”
“Altri chi, Pietro? Quali altri?”
“Altri, nonno. Tu ancora non lo sai, ma ieri e l’altro ieri mentre tu eri a Palermo, Tindara ha
ripescato altri bambini.”
“Ripescato bambini?”
“Sì nonno, sono nascosti a casa tua. Ci sono anche delle mamme e dei papà ripescati da Tindara in
fondo al mare. Sono tutti nascosti a casa tua. Io ho solo aiutato Tindara a far entrare queste persone
dalle finestre di casa tua. Ho rubato anche cibo e frutta di mamma, perché loro hanno fame. Non
l’abbiamo detto a Magdalena e papà. Nonno, non lo dire a mamma, ci sgrida se lo sa. Nonno,
Tindara mi ha detto che quando si tuffa vede tantissimi bambini come noi, tantissime mamme come
la nostra, tantissimi papà come il nostro papà in fondo al mare e tutti le gridano: Tindara, Tindara,
per favore riportaci a galla.”
“Pietro, prima i parrari mastica i paroli*”, dice nonno col suo sorriso sdentato.
Io non sempre capisco quando nonno parla in siciliano.
Nonno accarezza i capelli bagnati di mio fratello, lo prende per mano, si avvicina e guarda meglio i
due bambini smagriti che sorridono aspettando le sue decisioni. A tutti e due mancano uno o due
incisivi.
Tindara non parla. I denti le mordicchiano le dita e la pelle sottile delle mani. La bambina di
mamma, la mia sorellina, evita di incrociare lo sguardo di nonno Carmelo che non si lascia
ingannare dai due picciriddi. Nonno non crede per niente a questo racconto senza capo né coda di
Pietro. Non si lascia abbindolare da nessun racconto, neppure dai miei. Io ho più fantasia di Pietro,
eppure nonno non rimane mai a bocca aperta ai miei racconti, anche se ce la metto tutta.
La casa di nonno Carmelo è nello stesso cortile, ma è divisa dalla casa dei miei genitori dal giardino
curato da papà insieme all’inseparabile Capitan Rex. Tindara parla sempre poco a casa, ma parla
tanto a scuola con le maestre e le compagne di classe. Mentre Pietro è pieno di fantasia e non sta
mai zitto. Parla, parla quasi come mamma e come me, a casa e a scuola. Un giorno Pietro ha detto a
nonno e a me che Tindara conosce il linguaggio dei pesci e anche quello dei cormorani e delle volte
ha visto e sentito Tindara chiedere indicazioni a dei pesci mentre nuotavano verso una cala.
“Pietro, smettila di parlare a vanvera”, avevo risposto ridendogli in faccia. Dopo, insieme alle mie
amiche, avevamo chiesto a Tindara, prendendola in giro, di parlarci nella lingua dei pesci, dei
cormorani e delle tartarughe. Mia sorellina non si era preoccupata di risponderci, ma noi avevamo
continuato a canzonarla tutto il tempo. Allora nonno Carmelo era intervenuto e ci aveva
redarguito a bassa voce.
Ora nonno Carmelo non crede al racconto di Pietro e dei bambini ripescati dal fondo del
mare. Tindara non ha mai preso un pesce in vita sua, non è capace di pescare nulla. Neppure io
credo a queste fantasie di Pietro. A casa nessuno crede mai alle sue favole.
“Pietro, hai tanta fantasia, sei il mio degno nipote. Santa Rosalia, hai superato i racconti di tutti i
capitani di ventura che ho conosciuto”, dice nonno.
Poi si gira verso i due bambini e aggiunge:
“Cosa vogliamo fare di questi vostri piccoli ospiti? Pietro, Tindara, vi avevo portato dei dolci alle
mandorle da Palermo. Ma i vostri ospiti hanno l’aria di essere stanchi e affamati. Allora ne offriamo
anche a loro.”
IL PESCE E IL PAPPAGALLO
Questo pomeriggio, mentre spio dalla finestra semiaperta della casa di nonno, vedo i due bambini
sgranocchiare i nostri dolci alle mandorle di Palermo, mamma Rosalia mia aiuto… vedo altri
quattro, cinque, sei bambini magri e scalzi, con le maglie stracciate, alcuni senza maglietta, spuntare
dagli angoli del soggiorno.
“E chisti cu sunnu?”, chiede nonno Carmelo ad alta voce, scuotendo la testa e indicando con le
braccia aperte i sei bambini. “Oh Santissima Rosalia!”
Oh mamma Rosalia mia… subito dopo anch’io vedo spuntare tre, quattro, sei, dieci adulti dagli
angoli della casa di nonno. Sono loro…gli occhi invisibili e inquietanti che sentivo addosso quando
ho attraversato il salone di nonno.
“E staustri?”, sento dire al nonno.
Ora scappo e vado a chiamare papà… riesco solo a pensarlo, ma non riesco a muovermi. Mamma
mi ripete sempre che sono abbastanza grande, ma ora ho davvero paura e voglio mio papà. Rimango
paralizzata dietro la finestra, mentre Pietro punta col dito Tindara:
“Adesso mi credi, nonno. È tutta opera di Tindara, nonno.”
Oh Santa Rosalia di nonno Carmelo… capisco adesso perché Tindara e Pietro erano agitati in
questi giorni e passavano tutto il tempo sugli scogli. A tavola nascondevano le porzioni di cibo.
Non dormivano. Confabulavano e confabulavano. Come hanno potuto nascondere un segreto così
forte a me, la loro sorella maggiore? Tindara, muta come un pesce, sa tenere un segreto, ma Pietro è
un pappagallo, come mamma. Il pesce e il pappagallo hanno fatto tutto insieme, senza tradirsi,
senza attirare l’attenzione di mamma, a cui non sembra sfuggire nessun trucchetto dei figli. Santa
Rosalia, ora capisco perché Capitan Rex abbaiava, abbaiava e mi spingeva verso la casa del nonno.
Aveva sentito la presenza dei morti viventi.
Le presenze, questi sconosciuti nella casa di nonno, sono maschietti, femminucce e grandi. Alcuni
sembrano africani, altri sono come gli abitanti della nostra isola, somigliano a mamma e a Pietro,
altri non so a chi somigliano. Sono cinesi, hanno occhi a mezzaluna e faccia piatta. Sorridono come
imbarazzati, per la loro intrusione in casa di nonno.
Tindara, che ha causato questo trambusto, la mia sorella magrolina, coi capelli lunghi e biondi,
occhi verdi, non sa come giustificare la presenza di tutti questi indiani, arabi, cinesi. Pietro e
mamma, con la loro bella pelle olivastra, grandi occhi neri, capelli neri, potrebbero tranquillamente
essere scambiati con questi arabi, forse anche loro sono amazigh, ma io li chiamo arabi perché in
questo momento mamma non mi sente.
Nonno Carmelo si avvicina a due bambini, più o meno dell’età di Tindara e di Pietro, che mangiano
golosamente tutti i nostri dolci alle mandorle:
“Come vi chiamate? Ci sono i vostri genitori qui con voi?”
“Non si ricordano dei loro nomi, nonno”, risponde Pietro.
“Da dove venite?”.
“Si ricordano solo di tante persone stipate su un gommone rattoppato, nonno”, dice Pietro.
“Cos’è questo scherzo? Santa Rosalia, zitto Pietro.”
“Sappiamo usare le vostre parole, ma non sappiamo perché”, dice una donna. “Non ricordiamo i
nostri nomi. Ci ricordiamo di un gommone con tanta gente che urla e ci siamo ritrovati in fondo al
mare e siamo rimasti sotto l’acqua salata e non sappiamo per quanto tempo. Non potevamo tornare
a galla da soli e abbiamo chiamato Tindara, senza sapere perché. Siamo ritornati a galla grazie a lei
e a suo fratello. Non è uno scherzo, nonno.”
“Nonno!? Santa Rosalia, ora mi chiamate nonno? Tindara, raccontami, che sta succedendo?”
Nonno Carmelo, confuso, rimane a bocca aperta. Barcolla un attimo, si appoggia a Pietro per non
crollare, si lascia cadere su una sedia. Suda, e ripete “Oh Santa Rosalia.”
Oh Santa Rosalia di nonno Carmelo, penso anch’io, incredibile, mio nonno è scosso.
Pietro è molto eccitato, trema ma chiede ai bambini:
“Volete avere un nome?”
“Vogliamo un nome”, risponde un bambino con ancora in mano nostro dolce alle mandorle.
“Come ti vuoi chiamare?”, chiede Pietro al bambino.
“Noi non conosciamo dei nomi”, risponde un’altra bambina.
“Noi conosciamo tanti nomi di Lampedusa”, afferma Pietro, rivolgendosi ai bambini.
Io voglio scappare lontano dalla finestra. Non ci riesco. Sono paralizzata.
Nonno Carmelo ora osserva in silenzio la scena irreale che si sta svolgendo in casa sua.
“Possiamo trovare tanti nomi nel tablet di Lena. Pietro, vai a prendere il tablet.”
Oh mamma Rosalia mia, finalmente Tindara ha parlato… Lena, sono io. Stringo forte il tablet.
“Lena mi chiederà perché prendo suo tablet. Vacci tu.”
“Non ci vado”, risponde lei. “Nonno, è vero, io ho ripescato queste persone.”
“Che bugiarda, sorellina”, riesco a pensare. “Se non sai neanche pescare…”
Come se mi avesse sentito, aumentando la mia paura, Tindara replica:
“Non sono bugiarda, nonno. Pietro, vai a prendere il tablet di Lena e troviamo nomi del
Mediterraneo e li scegliamo insieme ai nostri ospiti.”
“Picciriddi, non serve quello strumento di navigazione terrestre, non so nemmeno come funziona.
Conosco a memoria infiniti nomi dei popoli del Mare Mediterraneo. Noi popoli di tutte le sponde
del Mediterraneo abbiamo tanti nomi in comune: Maria, Anna, Sofia, Luce, Stella, Alba, Giuseppe,
Fatima, Ismael, Miriam, Abramo, Iside…”
GLI SCOGLI DIETRO LA FINESTRA
Mentre elenca i nomi, nonno Carmelo si alza dalla sedia e, seguito da Pietro, si avvicina lentamente
alla finestra, la spalanca e dice:
“Magdalena, entra. Non rimanere lì a fare lo stoccafisso. So che sei lì dietro fin dall’inizio.”
Mentre scavalco la finestra per entrare nel salone, sento con chiarezza tante persone chiamare
Tindara. Voci straziate che provengono dal mare, ma da quella parte non ci sono in vista navi o
barconi e nessuno sugli scogli. I ripescati dal mare, queste presenze nel salone di nonno, hanno
l’aria tranquilla e sorridono, ma è meglio essere prudenti perché non si sa mai cosa può succedere
all’improvviso. Io mi tengo a distanza da loro. Questi morti viventi mi fanno molta paura. Dove
sono mio papà e Capitan Rex?
“Mi stanno chiamando ancora. Hai sentito, nonno? Mi rendono nervosa”, dice Tindara.
“Ho sentito, picciridda. Sembrano cantare Tindara, Tindara… Santa Rosalia… chi sono?”
“Loro”, dice Tindara.
“Loro chi?”, insiste nonno.
“Loro…”, ripete Tindara. “I viventi sotto il Mare di Sicilia, nonno. Loro ne fanno parte, questi che
vedi a casa tua. Sono loro. Tante voci, nonno. Mi hanno chiamata per giorni. Loro, queste presenze,
nonno.”
Tindara, agitata, indica i cinesi e gli africani accampati nel salone di nonno Carmelo. Forse non
sono africani, ma io li chiamo tutti africani. Ora nonno Carmelo è ritornato inspiegabilmente
tranquillo. Pietro è incollato al corpo del nonno che gli massaggia la testa e le spalle per
tranquillizzarlo. Io resto muta, pietrificata, spalanco soltanto i miei grandi occhi verdi e mi tengo
bene a distanza dalla mia sorellina, perché lei è in mezzo a questi africani, cinesi, arabi, morti
viventi che mi fanno paura. Però raccolgo tutto il mio coraggio, mi avvicino alla sorellina e la
stringo forte. La sento tremare tra le braccia. Anch’io tremo, di più di mia sorella.
“Lena”, mi dice Tindara fissandomi, “sono tante voci… sotto il Mare di Sicilia. Lena, mi chiamano
perché li riporti a galla, sono ventimila viventi in fondo al mare.”
Allora la mia paura diventa incontrollabile e sento un caldo avvolgermi il corpo, come se prendessi
fuoco, anche se nonno dice che sono l’erba verde. Mi incendierò a causa dell’erba secca e del
fiammifero, Pietro e Tindara.
“Lena, quanti sono ventimila?”, mi chiede Pietro con voce tremante. Io rimango muta. Voglio
scappare.
“Santa Rosalia, ventimila sono tanti, Pietro”, risponde nonno.
“Nonno, dobbiamo ripescare ventimila viventi dal mare dietro le tue finestre?”, chiede ancora
Pietro.
“Certo, Pietro. Dobbiamo!”
“Nonno, come fanno a entrare dalle tue finestre? Come fanno a stare tutti nella tua casa, nonno?”,
insiste Pietro.
“Non entreranno tutti dalle finestre, Pietro. Solo voi i miei nipoti entrate e uscite dalle finestre. Per
loro troveremo altre case, altre isole… Amaro cu ci cummatte cornutu chi non lo aiuta.” *, dice
nonno in un siciliano ancora più incomprensibile in questo momento di agitazione.
“Lena, la prima volta che mi sono immersa, mi sono spaventata e sono scappata”, dice Tindara. “La
notte successiva non ho dormito. Mi tappavo le orecchie ma sentivo sempre più forte il vociare di
bambini e bambine. Quando le finestre di nonno si aprono, le voci aumentano nelle mie orecchie
fino a fare scoppiare la mia tesa. Tu, nonno, eri a Palermo, Pietro e io abbiamo iniziato…”
“Quando una fimmina va a pesca, quante sorprese porta a galla… Santa Rosalia. Ho pescato e
ripescato ogni genere di creature ma in cinquant’anni di navigazione mai e poi mai ho ripescato
esseri umani rimasti viventi nei fondali di nessun mare o lago”, dice nonno Carmelo. “Mi
piacerebbe scoprire come un essere umano riesce a sopravvivere per tanto tempo in fondo al mare,
senza aria. Ha ragione Pietro, non so da dove iniziare e dove ospitare ventimila persone.
Magdalena, hai sentito tutto. Abbiamo bisogno di te, dei tuoi genitori, delle tue amiche, dei loro
genitori. Corri a radunare la gente di Lampedusa. Noi siamo la Sicilia, non sbattiamo né porta né
finestra in faccia a chi soffre. Lampedusa è il cuore pulsante del Mediterraneo.”
Questi eventi mi hanno molto turbata. Non trovo né il tablet né lo smartphone. Li ho dimenticati
accanto alla finestra dove mi ero nascosta per spiare. Scavalco ancora la finestra per
recuperarli. Fuori, l’aria si è rinfrescata. La sera sta calando, ma fa ancora chiaro. Mi collego col
tablet ancora prima di ritornare nel salone di nonno. Allora chatto nervosamente con tutti i miei
amici e amiche di Lampedusa e loro taggano all’istante i genitori. Nonno, ancora seguito da Pietro,
si sporge alla finestra.
“Oh Santa Rosalia, ti ho mandato a radunare in fretta la gente di Lampedusa e sei ancora lì fuori a
maneggiare quello strumento?”, dice nonno Carmelo, che sono riuscita a fare spazientire.
“Magdalena, in fretta, corri a chiamare i Sindoni, i Palmisano, i Giardina, i Pipitoni, i Mangano, i
Maraventano, i Bartolo, i Barbera, i Rocco, i Rizzo, i Palmieri, i Saltalamacchia, i Selvaggi, i
Salem, i Greco, i Licata, i Virga…”
“Oh mamma Rosalia mia, fermati nonno, ho già fatto”. Tento di scavalcare la finestra e ritornare in
salone. Non ci riesco, sono spaventata e troppo agitata, ho anche tra le mani lo smartphone e il
tablet. Nonno mi prende smartphone e tablet e mi tende una mano per aiutarmi a rientrare dalla
finestra mentre dice:
“Come, hai già fatto? Uscendo e rientrando dalla mia finestra?”
“Nonno, non posso spiegartelo tutte le volte, soprattutto in questo momento.” Chiudo la finestra per
non sentire il vocìo che arriva dal mare.
“Ho capito, nonno non è stupido, ho capito hai usato il tuo strumento di navigazione terrestre senza
fili.”
“Ah, guarda nonno, la gente di Lampedusa ha già risposto alle mie chat.”
“Chat!? Cos’è chat?”, si stupisce nonno mentre cresce il mio terrore.
“Chat… SOS, nonno.”
“Ah, SOS, hanno già riposto al tuo SOS i Greco, i Pipitoni, i Virga, i Maraventano, gli Alamanzo, i
Barbera, i Rocco, i Carraffa, i Selvaggi, i Licata, i Cannuli, i Brischetto, gli Ilacqua, gli Orlando ma
soprattutto i Nicolini?”
“Sì, nonno, prima di tutti i Nicolini, arrivano per dare una mano, portano altra gente che non
conosco ma che loro hanno chattato… il mio SOS, nonno.”
“Santa Rosalia, devo imparare anch’io a usare il tuo strumento di navigazione terrestre. I nostri
strumenti di navigazione marittima erano diversi. Quando non ci portavano a buon porto, ci
permettevano di lanciare SOS. Però cu avi lingua passa u mari. * La gente di Lampedusa ha già
risposto! Questo non mi stupisce. La gente di Lampedusa non può allargare la propria isola di un
millimetro ma ogni giorno la gente di Lampedusa allarga i propri cuori senza tergiversare…”
“Basta, nonno… Mi fai scoppiare la testa.”
Stringo i pugni, tremo, singhiozzo. Nonno Carmelo mi abbraccia, mi stringe e infine non parla più.

CAPITAN REX
“Magda…”
Oh Santa Rosalia di nonno Carmelo, ho chattato papà Placido e sento la voce di mamma Rosalia nel
cortile. Esco in lacrime dalla porta di casa di nonno Carmelo.
“Mamà!?”
“Magda… cos’è questo messaggio che hai mandato sul cellulare di papà? Perché piangi? E questo
vocìo strano? Dove sono la mia bambina e il mio bambino?”
“Mamà, benvenuta nel mondo dei morti viventi sotto il Mare di Sicilia”, dico con voce appena
percettibile.
“Quale morti viventi?” È la voce rauca di papà Placido. “Non fare la spiritosa, Magdalena.”
“Papà, finalmente ci sei. Avevo tanto bisogno di te, papà. Senti anche tu questo vocìo? Corro e mi
tuffo sulle spalle di papà, l’abbraccio e lui mi stringe forte.
“Sento voci che chiamano Tindara. Chi sono?”
“Sono i ventimila viventi sotto il Mare di Sicilia, papà. Chiedi a nonno Carmelo.”
“Mio padre è a Palermo. Che ci fate in casa sua?”
C’è anche il grosso e silenzioso Capitan Rex.
“Tuo padre è qui a Lampedusa, a casa sua, con tanti ospiti ripescati sotto il Mare di Sicilia dai vostri
figli”, risponde nonno Carmelo, fermo sull’uscio di casa. Papà si toglie la pipa dalle labbra.
Capitan Rex si frappone tra papà e me, mi salta addosso. Io non reagisco, lui mi fa perdere
l’equilibrio e finisco a terra. Nonno Carmelo dice, col suo sorriso sdentato:
“Trasite, trasite, Santa Rosalia, dobbiamo trovare lo spazio per ventimila viventi, allora c’è spazio
anche per voi due.”
“E chisti cu sunnu?”, dicono insieme mamma e papà con la voce ancora più rauca, ma tutti e due
sorpresi di ritrovarsi di fronte ai morti viventi di Tindara e Pietro, fimmine, masculi, picciriddi, in
casa di nonno Carmelo. Mi rialzo da terra, allontano piano Capitan Rex e mi appiccico a papà.
“Chisti sono solo una minima parte dei ventimila viventi sotto il Mare di Sicilia. Placido Ilacqua,
preparati a ritornare in mare. Rosalia Cannuli, ci sono ventimila viventi sott’acqua che aspettano un
tuo gesto.”
Capitan Rex abbaia e abbaia come stamattina, perché sente il vociare dei ventimila viventi in fondo
al Mare di Sicilia.
“Magda!”
“Mamà!”
“Coraggio figlia mia! Su, non avere paura di questi viventi Magda, bambina mia. Oggi mi
immergerò nel Mare di Sicilia, insieme a voi i miei figli. Santa Rosalia, amaro chi soffre…”


NOTA
Nel racconto si parla un italiano con inflessioni siciliane, e talvolta anche in uno schietto dialetto
siciliano, che traduco:
“Prima i parrari mastica i paroli”: prima di parlare mastica le parole
“E staustri”: e questi altri.
“Amaro cu ci cummatte cornutu chi non l’aiuta”: amaro chi soffre cornuto chi non l’aiuta.
“Cu avi lingua passa u mari”: chi ha la lingua attraversa il mare.
“Amazigh”: uomo libero, singolare di imazighen, è anche il nome di un gruppo definito ‘berbero’

L'autore

Pap Khouma

Pap Khouma, di origine senegalese, vive a Milano, dove si è sempre occupato di cultura e di letteratura, attraverso numerose e svariate esperienze. Per dodici anni ha girato l’Italia, invitato da scuole di diverso ordine e grado a svolgere “lezioni” sulla storia e la cultura africana, e sui temi della multiculturalità. Per conto dei Provveditorati ha tenuto corsi di aggiornamento per insegnanti sull’integrazione, e per tre anni (1991 – 1994) ha insegnato italiano agli stranieri nei corsi di alfabetizzazione del Comune di Milano. Ha partecipato come relatore a numerosi convegni nazionali e internazionali, presso le maggiori università italiane (Milano, Roma, Bologna), sui grandi temi dell’immigrazione, della cultura e della letteratura , e nel 1998 è stato invitato a svolgere un ciclo di conferenze negli Stati Uniti (Africa/Italy: an interdisciplinary international symposium, Miami University, Oxford, Ohio; Immigration et intégration, Sénégal/ Italy/ France, Northwestern University of Chicago; Società multiculturale, Queen’s College of New York; Letteratura degli immigrati in Italia, Casa italiana of New York University). Dal 1990, quasi annualmente, si é occupato, per conto di centri studi, organizzazioni non governative ed amministrazioni comunali e provinciali, di ricerche ed approfondimenti, con relative pubblicazioni, sui temi già citati. Ha lavorato come responsabile della “libreria del viaggiatore” all’interno del Megastore B612 di via Muratori a Milano, e ha partecipato alla progettazione e all’ideazione della stessa, prendendo personalmente i contatti e i successivi accordi con le maggiori case editrici nazionali. Ha lavorato presso la libreria FNAC di Milano, dove si occupava in particolare del reparto libri in lingua originale. Iscritto all’Albo dei giornalisti stranieri dal 1994, per quattro anni (1991-1995) ha firmato una rubrica su “Linus”, e ha collaborato con “l’Unità”, “Il Diario”, “Epoca”, “Sette”, “Metro”. Ha pubblicato Io, venditore di elefanti (insieme al giornalista e scrittore Oreste Pivetta, Garzanti ed. 1990), giunto oggi all’ottava edizione, adottato da molte scuole come libro di testo, e i cui brani sono inseriti in numerose antologie scolastiche, ed è stato curatore e coautore del libro Nato in Senegal immigrato in Italia (Ambiente ed. 1994).
Nel 2005 pubblica Nonno Dio e gli spiriti danzanti e nel 2010 Noi neri italiani. E’ presidente della giuria del premio Sengor.

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