Arnold De Vos
Vertigo
Edizioni del Leone, Venezia 2007
adele desideri
De Vos, scrittore migrante, scrive un testo multilinguistico, ricco di suggestioni provenienti dalle culture egiziana, biblica, greca, latina e islamica. In Vertigo de Vos traccia un’Orografia personale (pag. 17 – dal titolo di una poesia) che attinge alle esperienze vissute nei diversi paesi in cui ha abitato. La sua scrittura è come un elastico teso tra un già e un non ancora che si fa attesa del futuro: “Tomba senza discendenti,/ siete voi miei figli, dèi erranti/” (pag. 11). I suoi lemmi sono un “corpo a corpo con una lingua” (pag. 6) che non gli appartiene – l’italiano – ma che egli sa rendere sanguigna. Nelle sue sillogi c’è la forza animistica del Duende (pag. 23), una sorta di folletto, una vis dell’anima che attinge energia dalla terra e che si realizza pienamente nell’arte, in specie nella danza.
“Il poeta è un trovatore…/ (…)/ …è un vandalo/ che assimila quel che distrugge/” (pag. 79), scrive l’autore. Ed egli stesso è un trovatore. Utilizza infatti un ritmo monodico, Moderato cantabile (pag. 37), segno di un gusto raffinato che evoca il piacere per la vita. La sua poesia stringe e preme l’anima: “Poesia, sei la mia prefica:/ se canti mi sento morire./ Fila indiana di funerali/ fai strada per me, mia vita.//” (pag. 87).
Nei versi di de Vos ci sono un’intenso erotismo, un’erotica della Tattilità (pag. 31), una Vertigo dell’anima e dei sensi, un’inquietudine esasperata d’un corpo che vibra nel tessuto informe delle emozioni: “Sole e ombra cantano/ l’inno del tuo corpo senz’imene, rosone/ dei sensi, sole che giri/ e rigiri il mio corpo/” (pag. 39). E ancora: “Sei la mia prima Eva, ragazzo/ (…)/ incontri questo vecchio corvo/ dal becco ricurvo/ che ti rovista le viscere/” (pag. 49).
De Vos indica una “…religione della persona/.” (pag. 19). Una religione, cioè, nella quale la tensione verso l’uomo è prefigurazione di quella verso Dio. La parola religione deriva dai verbi religare – stabilire un legame tra creatura e Creatore – e religere (secondo l’etimo di Cicerone) – raccogliere, riunire. In armonia con entrambi i significati, la religione a cui fa riferimento de Vos connette e raduna, stringe e per questo accomuna gli uomini nell’amore terrestre. Infatti il divino, “…l’Uno/” (pag. 22) – questa è la terminologia che l’autore adotta – “è eclissato da chi prende il Suo posto nel (…) cuore/” (pag. 22) perché è colto nell’immagine sensuale dell’amato: “…l’amore diventa (…)/ il modulo una persona/ che prefigura Dio.//” (pag. 55). In linea con la filosofia di Plotino, l’Uno di de Vos è, appunto, l’ipostasi metafisica del Bello e del Bene. È un principio dinamico (aggettivo essenziale nella rilettura che Plotino fa di Platone), dal quale emana tutta la creazione.
Il poeta, uomo di sensi accessi e vitalità fluorescente, ha un rapporto intenso, e contradditorio al tempo stesso, con l’Assoluto. La sua fede scotta come il fuoco. Eros, divino e scrittura vivono in una dimensione unica e panica: “Insufflato da te, Signore/ ho perduto la parola./ (…)/ Clandestino dell’amore/ nomade, salto le frontiere/ senza visto per il paese di nessuno/ ch’è l’amore di tutti riportato a Uno.//” (pag. 34) .
De Vos tenta allora, come estrema ratio, di rinunziare alla cognizione del bene e del male, rappresentata dal ” …pomo/ carnivoro…/” (pag. 48), la mela del paradiso terrestre (Gn 3). Essa è simbolo di seduzione, conoscenza e onnipotenza. L’uomo la mastica ma in realtà ne è divorato e a causa sua sarà cacciato dall’Eden. Ma l’autore è cosciente di quanto sia difficile rinunciare alla tirannide delle tentazioni e infine desidera la pace dello spirito: “Dona nobis pacem/” (pag. 93). E prega: “Segami la mano, Dio/ se ha fatto male./ Ha stretto falli e rosari,/ (…)/ Ma non è blasfemia/ se lodo le tue opere,/ Signore.//” (pag. 95). In attesa della Binsica (pag. 34), la morte mistica. La morte di tutto ciò che lega al corpo. Reale o simbolica che sia.
14-12-2007